PTL … JUST US OURSELVES & WE
Qui una disamina più tecnica e personale sulla PTL, legata gli aspetti atletici e mentali, l’equipaggiamento, il tracciato e alcune riflessioni personali.
Nella sezione “PTL & Diabetes” [work in progress] le questoni metaboliche, terapeutiche e nutrizionali oltre a un paio di immancabili “pistolotti” dove come al solito non ci vado certo giù leggero.
La Squadra … la PTL è una gara in prima persona plurale.
NOI non IO. “Andiamo”, non “io vado”. Just us, ourselves & we … Parafrasando il titolo del famoso pezzo dei DeLaSoul …
Evviva I Piccoli Trottatori dunque. Il nome fa proprio simpatia vero?
La mia decisione di partecipare alla PTL, rinunciando alle velleità personali legate al TOR de Geants, è stata dettata dalla qualità e dallo spessore del team.
Quando mai mi capiterà di ritrovare due compagni simili, motivati e preparati? Francesco esperto, tranquillo, o comunque capace di mascherare tensioni e difficoltà, attento ad ascoltarsi e ad ascoltare, stratega che decide ma che accetta consigli e pareri. Con lui c’è un’intesa e una sintonia particolare, anche fuori dal trail, pur avendo formazione e caratteri diversissimi. Un paio di sguardi e di frasi sussurrate rimarranno a imperitura memoria: sono quei momenti magici quando capisci che “ci sei” e che “ce la farai”. Quel dare un senso e un sapore particolare alle cose che fai … Le piccole grandi soddisfazioni che ti fanno sentire che stai facendo la cosa giusta, al momento giusto e con il giusto approccio. Grazie Tor!
Gianluca, il meno tattico della squadra, quello che va un po’ a testa bassa, ma il miglior navigatore con gps nel mondo del trail. Seguire la traccia, mentre alla strategia ci pensano gli altri.
Con lui non ho la confidenza che ho con Francesco, ma si è dimostrato intelligente, attento e si è messo a disposizione della squadra. Bravo.
Io mi sono messo nel mezzo e ho gestito le pubbliche relazioni con i volontari, i rifugisti e gli altri concorrenti. Chiedevo il menu, cosa c’era da mangiare, mi informavo sulle caratteristiche del percorso, l’esposizione, la tecnicità, le condizioni meteo, i punti acqua e poi riferivo ai compagni.
Siamo stati bravi a pensare sempre al bene di tutti e tre, a parlarci “fuori dai denti”.
Situazioni estreme come queste possono distruggere un’amicizia o un sodalizio, invece ne siamo usciti più forti e più amici.
Penso siamo stati sempre sufficientemente lucidi per discutere strategie, adeguare il passo, rallentare o accelerare al bisogno, comprendendo sempre quando qualcuno di noi aveva bisogno di rifiatare o di risolvere un momento di difficoltà.
Ci siamo ritagliati anche momenti di solitudine, camminando magari a qualche decina di metri l’uno dall’altro assorti nei nostri pensieri.
Insomma non potevo chiedere di più da un’esperienza simile.
Non nascondo che temevo la prova a squadre per la difficoltà nel gestire le singole personalità. Mi sono allenato duro anche per essere in grado di non soffrire troppo atleticamente la prova e dunque mantenere sempre la mente lucida e la forza di pormi e di relazionarmi con i miei compagni. Non volevo subire le scelte degli altri adeguandomi a quelle del più forte o il più esperto, ma volevo dire la mia da pari a pari. Per questo dovevo avere solide basi e forza. Altrimenti diventi un “seguace” costretto a inseguire e accettare, perchè sei troppo “cotto” per ragionare, invece di essere parte di un team, condividendo, discutendo, prevedendo, e prendendo la testa o la coda a seconda del momento o … restando nel mezzo.
Francesco resta inarrivabile su questo tipo di percorsi. Gianluca, secondo me, ha fatto un mezzo miracolo, perchè, pur fortissimo, è forse quello che si è preparato meno bene alla corsa da un punto di vista atletico e che dunque ha sofferto “muscolarmente” un po’ più di tutti… ma eravamo sempre lì. Una volta avanti uno, una volta avanti l’altro. Ecco il Tor aveva una marcia in più, ma ha fatto bene a non usarla. Non so se per scelta avveduta o subita. Io ho (quasi) sempre tirato indietro … E sono fiero di averlo fatto.
Se poi arrivavamo più avanti avremmo corso il rischio di montarci la testa!
Atleticamente … Sì, mi sono preparato bene, e quindi sapevo che avevo nelle gambe i km, il dislivello, l’abitudine ai terreni difficili necessari per portare in fondo questa avventura.
Fatica … Devo ammettere che ne ho fatta, ma ero pronto e preparato a farne molta di più. Parlo di fatica “fisica”…. muscolare. Nella mia memoria ho ricordo di questo tipo di fatica da sforzo nella salita al Mont Buet, in particolare gli ultimi 500 mt di dislivello, dove veramente ogni passo andava misurato e la vetta non arrivava più. E’ la prima volta in vita mia che vomito (acqua) sulla cima… sputare sangue no, ma vomito sì.
Qui no, il freno a mano tirato non ce l’avevo.
Poi sì, forse ha ragione Francesco a ritenere che un po’ per la paura del caldo, un po’ per eccesso di prudenza che mi è connaturale, ho tirato sempre un po’ indietro … ma credo che abbia fatto bene a tutti. Tanto secondi o terzi, cosa cambia in una gara senza classifica? Qualcosa cambia, ma va bene così. Io ci farei la firma tutta la vita.
Sulla salita secca forse ero il più forte. I 93000 metri di dislivello in sei mesi avranno pur dovuto significare qualcosa. Ma poi perdo sempre qualcosa nei primi venti minuti di discesa. Ci metto un po’ a cambiare modalità, da “up” a “down”.
Nello specchietto qui a fianco ho voluto riassumere in numeri, che non mentono mai, i dati della mia preparazione (25 settimane) e la PTL (5 giorni e 3 ore).
100 uscite x 269 ore a piedi, 41 ore in bici in una trentina di workout, 93000 mt d+ 50 mt d+/km, 900 mt di dislivello ad allenamento, 3500 mt di dislivello a settimana in media (con picchi da 12000), 92% dei workout con sensazoni positive e neutre.
Non sono dati da maniaco, ma faticosamente e meticolosamente annotati perchè io credo che ci vuole sì un po’ di fortuna, ma la fortuna va ricercata nella consapevolezza di sapere quello che si sta andando a fare. E penso di saperlo. Poi quelli che vanno forte sono altri. A me basta sapere dove sto andando, dove sono stato e dove voglio andare.
La PTL ovviamente era un concentrato di difficoltà che non avrei potuto “conoscere” prima. Per fare una gara da 300 km non bisogna farne una uguale un mese prima. Poi si può fare tutto nella vita … Il raffronto che faccio ovviamente è un po’ forzato, ma è giusto per far capire le proporzioni. Mi soffermo in particolare sulle velocità … Il ritmo medio della mia preparazione è 7:37 al km su media durata di 2h30 … In gara 24:49 al km , togliendo le pause 19 al km sulle 100 ore diciamo.
Cosa significa … Che per andare lontano, bisogna saper andare piano. Tutto è relativo, ma se abbiamo piena consapevolezza del nostro motore possiamo procedere del nostro “passo” altrimenti si va a caso e a testa bassa. Poi magari la si sfanga lo stesso o addirittura meglio, ma a me è così che piace.
Guardiamo ai tempi dei vincitori del Tor des Geants … Questa è gente che su una cento miglia viaggia intorno ai 9 km orari, su un gigatrail vanno a 4,5/5km orari. Vuol dire che vanno a “spasso” perchè se accelerano di più “scoppiano”. Noi umani che facciamo una centomiglia se va bene a 5 km orari, se andiamo a 3 km orari già facciamo in proporzione un ritmo assai più impegnativo. Sono cifre buttate lì senza troppi approfondimenti, ma servono per farci capire quanto spesso di lanciamo sulle lunghe distanze senza avere la più pallida idea di quello che stiamo andando a fare … E comunque il 60% arriva al traguardo. Le nostre risorse sono infinite e vanno oltre la nostra poca lungimiranza. Per fortuna. Forse ad essere troppo calcolatori si sbaglia, ma un po’ di “consapevolezza” è necessaria. E’ da lì che si parte, poi uno può provare ad andare oltre, rischiare, non rischiare, tirare indietro. Evviva!
La “mia” preparazione, come si evince, è iniziata a febbraio, non masticavo trail da giugno 2015. Da luglio dello scorso anno (dopo il GR20 ) a febbraio 2016 ho fatto solo un trail al mese da una ventina di km: in inverno mi ero dedicato all’asfalto con uno stop di un mese a metà novembre per problemi alla schiena.
Sono tuttavia riuscito a trasformarmi in un piccolo trottatore per lunghi e ostici percorsi in poco tempo lavorando sulle variabili giuste: “la sostenibile verticalità dell’essere”.
Mi sono accorto, O MEGLIO, ho preso CONSAPEVOLEZZA (ah santa consapevolezza …), che stavo bene tra aprile e maggio, reggendo gare e allenamenti senza pagare troppo la vicinanza tra lunghi e competizioni.
Poi ho dovuto prendere una decisione e dedicarmi all’endurance su ritmi meno intensi (e quasi noiosi) perchè per sopravvivere alla PTL mi dovevo dimenticare le velocità ascensionali degli allenamenti brevi e tirati. Insomma ti devi annoiare salendo …. Altrimenti vuol dire che stai andando troppo forte.
Di questo vado fiero, perchè ho saputo rinunciare al richiamo delle gare e della velocità che non mi sarebbero servite allo scopo, ma solo al mio ego ipertrofico, e ho saputo usare la testa e gestire una preparazione impegnativa e complicata da organizzare, senza perdere colpi anche nella raccolta “dati”, visti gli impegni lavorativi, famigliari e il tanto tempo richiesto per macinare km e dislivello utili.
I lunghi con i miei compagni di team, pochi ma buoni, ma soprattutto quelli in solitudine mi hanno garantito una solidità mentale e atletica che poi ho messo a fruttto in gara, non senza qualche difficoltà, cui ho però saputo rimediare sia per merito mio, sia per il fatto che mi sentivo in un team di amici e persone pragmatiche, intelligenti e mature.
5 tramonti e 5 albe … quelle avevo messo in conto, e quelle sono state!
Sapevo che 120 ore ci sarebbero volute tutte. …. 123 va bene. Terzi anche, con la consapevolezza che ce la siamo goduta, che non c’è stata sosta dove non abbiamo portato un po’ di allegria e lucidità tra volontari e rifugisti, che gli abbracci ad ogni vetta rimarranno indelebili nella nostra memoria.
Soprattutto noi abbiamo fatto la “nostra gara”, senza prendere le misure su chi ci stava dietro o davanti. Le soste erano brevi se non avevamo bisogno di riposare, lunghe nel caso contrario. Non brevi perchè quelli dietro sono partiti prima o quelli davanti erano vicini. Abbiamo assecondato le nostre necessità fisiologiche e ambientali, non le nostre ambizioni. Il resto è stato una conseguenza.
Se uno vuole fare la gara a muso duro, non è certo la PTL il contesto ideale, anche se nessuno ti vieta di farlo!
Percorso … Andiamo a mangiare un po’ di montagna … e ne abbiamo mangiata. Eccome!
Praticamente ogni giorno buona parte dei sentieri con lunghi tratti che in Italia sarebbero classificati EEA oltre a mezze vie ferrate con cavi, scalini. Il tutto completato da macereti, pietraia, massi, nevai (pochi), ponticelli, passerelle, tratti esposti.
Pur avendo maledetto più volte i tracciatori, pensavo di incontrare più difficoltà fisiche e tecniche. Si è faticato per carità e ci hanno fatto passare veramente da luoghi dimenticati da Dio e difficilissimi, ma ero preparato al peggio.
Le uscite tecniche con il Maistri sono evidentemente bastate a farmi trovare il piede montagnard che mi mancava.
Il caldo Invece come sempre mi mette in difficoltà, ma proprio non mi sarei aspettato di trovare 30 gradi e più a 3000 mt, pietre bollenti e arsura. Non l’avevo proprio messo in conto.
Il cambio di strategia, ovvero di usare un po’ più la notte, e meno il pomeriggio, ha pagato anche se con l’oscurità si fa meno velocità. Tuttavia procedere al caldo su certe salite esposte a sud e senza ombra ci avrebbe letteralmente “bolliti”. Di notte invece magari un po’ rintronati, ma salivamo lenti e regolari, e il corpo ritrovava la termoregolazione in automatico.
La marcia regolare … Da correre c’è poco … e forse è quasi meglio non farlo a meno di non stare al 100% e di avere grande elasticità muscolare e adattamento a diversi ritmi e posture.
La regolarità a mio avviso è fondamentale, oltre a una navigazione impeccabile, l’ottimizzazione delle pause, il mangiare quando ce n’è e quanto serve, il riposare, poco, ma bene.
Penso che abbiamo fatto tutto bene, o comunque abbiamo sbagliato nel momento giusto, ovvero quando si poteva.
Camminare sempre, corricchiare in discesa e in pianura alternare al bisogno …
Il passo svelto è meno faticoso mentalmente e fai comunque chilometri.
Nei gigatrail come PTL, TDG o 4k mi sembra di capire che la privazione del sonno non sia così limitante. Basta veramente poco per farti tornare come nuovo. Quando ho sofferto la notte non è stata per le poche ore di sonno, ma per la scarsa qualità (sonno frammentato, risvegli continui, pasto pesante prima del coricarsi, pensieri in testa, caldo o rumore nella stanza, rigirarsi sul materasso per dolori articolari).
Secondo il mio modestissimo parere, a pregiudicare la performance, sono i fuori giri e le velocità eccessive, anche in discesa. I muscoli e i mitocondri, in particolare, non devono subire troppe stimolazioni diverse.
Insomma se dovessi consigliare a qualcuno una strategia, sempre per quello che valgono i consigli e fermo restando che ognuno deve cucirsi addosso il proprio abito di persistenza, direi: dormi poco ma profondamente, non fare fuori giri se non sei costretto per salvare la pellaccia. Nel dubbio rallenta. Alle basi vita non chiacchierare, ma buttati a dormire se sei stanco.
Concentrazione … E’ tutta una questione di concentrazione …. Il mantra pazienza, motivazione, concentrazione era azzeccato.
E’ faticoso restare sul pezzo e vigile: i cali di attenzione, in ogni dove, possono rivelarsi una trappola mortale. Per fortuna che, anche qui, siamo stati bravi sia a farli capitare al momento giusto, sia a gestirli come una squadra.
Quando ci si ferma, bisogna ragionare su cosa ci aspetta alla ripartenza, controllare lo zaino, le borracce, il materiale e pensare a mangiare e dormire.
Al rifugio Champillon abbiamo mangiato pesante (zuppa salatissima e troppo aromatizzata, salsiccia e polenta imbevute nel burro e nello strutto ….) e dormito in condizioni di caldo asfissante e rumore assordante (chitarre e canti a squarciagola degli escursionisti a tavola).
Ripartiti, siamo andati fin troppo forte anche se poi salendo al Col Tardiva tra le 3 e le 5 di notte un po’ senti lo stordimento.
Ho sfruttato male la base vita di Morgex, dove ho dormito davvero poco e non ho fatto una impeccabile verifica del materiale, a maggior ragione con la sacca di corsa a disposizione e la mia compagna con ogni delizia per me e pronta a supportarmi al bisogno.
Ma troppe distrazioni. Gli amici e i bambini. Una gioa per il cuore, ma sicuramente mi sono deconcentrato e agitato: invece di dormire mi sono alzato mille volte e anche qui la notte poi un po’ ho faticato.
Dopo la sosta al ristoro UTMB di La Balme mi sono invece rilassato troppo … ero ubriaco di felicità, ho mangiato un po’ troppo. E anche qui ho perso per un attimo il bandolo della matassa.
Tuttavia sulle successive ascese al Tricot e alla Baraques de Rognes siamo filati come missili, e nell’ultima discesa, forse ero quello che di piedi e di fisico stava meglio.
La crisi …Saper risorgere e morire più volte: la crisi da colpo di calore me la sono beccata il primo pomeriggio. Cominciamo bene, mi sono detto. Ho avuto qualche capogiro, un po’ di innapetenza, però dopo le 17 sul versante dove ci trovavamo il sole non picchiava più diretto, c’era molta acqua per rinfrescarsi e il rifugio lo abbiamo raggiunto alle 20, recuperando anche qualche posizione nonostante la mia evidente difficoltà.
In questa fase, poi, ero ancora integro muscolarmente e il fisico non era provato. Cosa diversa è beccarsi un colpo di calore dopo qualche giorno, magari già logorato da stanchezza, depauperamento delle scorte energetiche, affaticamento muscolare e mentale. Una tisana rilassante, un po’ di brodo e pane, tre bocconi di pasta sforzati perchè mangiare è fondamentale, due biochetasi (1 prima, 1 dopo), ritmo tranquillo, temperature fresche della notte e i compagni che ti tolgono 1-2 kg di peso dallo zaino finchè non ti riprendi.
E la crisi è superata.
Nella notte abbiamo fatto una super rimonta … Ripresi 20 team … e ho capito tre cose fondamentali:
1) avevamo un passo ottimo anche in condizioni di difficoltà
2) vista la canicule d’alta quota era meglio stare fermi qualche ora diurna e sfruttare di più le ore notturne per muoversi
3) eravamo una squadra vera. Grandi Piccoli Trottatori.
Il secondo giorno, a parte un po’ di stordimento a caldo sulla Fenetre d’Arpette (ma chi non l’ha sofferto) sono andato meglio e da lì non ho più avuto problemi veri fino alla fine. Magari filasse sempre così liscia.
Diuresi, attività intestinale … Tutto nella norma. Un regalino al giorno ad ogni rifugio.
Attrezzatura: la borsa per la base vita e lo zaino erano strapieni di tante cose che non ho utilizzato. Basta vedere la lista dell’attrezzatura.
Con il caldo riuscivo sempre a sciacquare le magliette e farle asciugare così come i pantaloncini.
Pertanto a Champex, a parte integratori, una paio di calze in più sottili, il cambio di gilet e un pantaloncino corto al posto del pantalone in piumino da scialpinismo, non ho preso altro.
Nei miei appunti pregara, scrivevo: “le condizioni ambientali (meteo e stato dei sentieri) saranno fondamentali per il buon esito di questa lunga prova. Ci vorrà un po’ di fortuna, o almeno, la capacità di interpretare i bollettini meteo, il cielo e le stelle” – aggiungendo – “la prova si sviluppa tra i 1000 e i 3000 mt … Credo non sarà il caldo il problema, e se lo sarà, solo per brevi momenti”
… Le ultime parole famose.
Ho privilegiato l’abbigliamento monostrato, utilizzando delle maglie intime del costoso brand Q36.5 e i pantaloncini della Crazy Idea. Di notte ho indossato al massimo il gilet e i manicotti.
Durante i due microcicli di sonno “en plein air” piumino pesante CAMP Adrenaline, fuseaux caldo e pantalone Montura in goretex. L’ultimo giorno ho indossato una maglia tecnica sempre Montura (tranquilli non è il mio sponsor) e le braghette Veronatrailrunners.
Zaino Raidvest della Camp da 20 litri … con l’aggiunta di un secondo portaborraccia. Peso in spalla tra gli 8 e i 9 kg a seconda dei liquidi. Nell’ultima parte di gara 1 kg in meno perchè a Morgex ho lasciato giù un po’ di roba pesante … Il bollettino meteo era chiaro, e dopo 3 giorni e mezzo a schiattare dal caldo e senza nuvole in cielo era sicuro che non avremmo trovato condizioni meteo difficili , prevedendo di arrivare entro il pomeriggio di sabato nella peggiore delle ipotesi.
Come calzature fino a Morgex con le Tecnica Inferno 3.0, gli ultimi 100 km con le Tecnica Inferno 2.0 … Avevo i piedi doloranti, ho provato a cambiare scarpe per modificvare le zone di appoggio e sfregamento … Ma il problema vero erano le temperature che i piedi raggiungevano nelle scarpe. Solo mettendo i piedi nei gelidi ruscelli di montagna trovavo veramente sollievo. Ma mica potevo andare avanti a piedi nudi. O sì?
Non ho avuto bisogno di cimentarmi nell’uso del GPS … Con navigator Gianluca e gli e-trex dei miei compagni di squadra ero in una botte di ferro. Ho guardato poco anche le mappe, sia perchè non c’è stato bisogno di farlo, sia perchè non mi è mai stato concesso il tempo per farlo 🙂
Ma ero sempre informato su dislivello e terreno che ci aspettava. Salita e discesa oppure discesa e salita. Su e giù, giù e su. Ripetere!
Il dopo PTL …
Nemmeno questa PTL ha sancito la mia temuta “morte atletica”.
Sulla gestione di insuline e integrazioni c’è la sezione dedicata, su come ho risolto la crisi da nausea ho già scritto. Per il resto solo un potente antidolorifico (sinflex) il secondo giorno alla base vita di Champex per attenuare il dolore al ginocchio che mi prendeva quando ero coricato e che mi avrebbe impedito di dormire.
Piedi doloranti da metà prova in poi, ma zero vesciche.
All’ultimo rifugio i volontari erano meravigliati dallo stato pressochè perfetto delle dita e delle unghie dei miei piedi. W la pasta di fissan!
Le altissime temperature del terreno e delle pietre bollenti battute dal sole mi hanno bruciato le piante dei piedi.
A 15 giorni dalla prova sto fisicamente bene e ho ripreso a pedalare con regolarità mentre per riprendere a correre aspetto ancora una settimana, giusto per ritrovare la piena efficienza degli alluci ancora un po’ anestetizzati.
Stanchezza e fame croniche, oltre a un po’ di cali di concentrazione quando le cose da pensare contemporaneamente sono troppe e gli impegni professionali e famigliari si accavallano.
Pesavo 68,5 kg prima della PTL, sono a 68 kg 12 giorno dopo … mangiando come un maiale ogni quattro ore senza vergogna. Non mi sembrava di essermi asciugato così, ma tra cannibalizzazione dei muscoli, disidratazione e grassi bruciati al vento, evidentemente un po’ mi ero alleggerito durante questa “passeggiatina”. E prima di recuperare tutto, ce ne vuole …
PTL … Esperienza per me indimenticabile, ma unica e irripetibile. Si sono verificate alcune condizioni e coincidenze irripetibili e dunque, salvo ripensamenti sempre possibili, non credo di ritornare a questa fantastica prova. Meglio lasciare con un podio … Anche se come noto non viene pubblicata una classifica ufficiale, ma solo un ordine di arrivo.
Ora poche digressioni trail e tanto asfalto e collinari con le mie Brooks Ghost 9 fresche di acquisto su Amazon …. Poi ne riparleremo. Adesso ho voglia di correre un 3000 siepi saltando la riviera senza ammazzarmi e magari un 10k su strada e una mezza maratona. Insomma riprendere in mano i libri di Albanesi, le vecchie tabelle da stradista, ma il libro di Linus no, quello no …. Poi magari mi iscrivo al Tor des Geants, al 4k o magari ancora alla PTL. Ma sarà la mia compagna a decidere. Io non ho pià potere in merito. Mi sono giocato tutti i bonus.
Il tempo che è necessario dedicare (al meno per come intendo io l’allenamento) alla preparazione di un gigatrail è troppo in relazione all’importanza che il trail riveste nella mia vita, oggettivamente e soggettivamente parlando. Per tanto devo rifletterci su.
Mi piace tanto allenarmi, e anche gareggiare, ma al momento dovrei riorganizzare radicalmente la mia vita professionale per poter conciliare tutto senza intaccare i miei affetti familiari. Me lo posso permettere, ma devo decidere quanto voglio lavorare e guadagnare, quanto tempo voglio giocare con i miei bambini, quanta intimità familiare necessito e quante ore km e dì al giorno sono sostenibili con tutto ciò ….
Sempre e comunque W I Piccoli Trottatori!