DNL @ LUT 2021 - Cortina d'Ampezzo, 25>26 giugno 2021

CRISTIAN’S VERSION _ LUT 2021

Cristian’s Version
“Everything but the LUT”
di Cristian Agnoli, type 1 since 2005

Racconto “breve ma non troppo” della mia seconda partecipazione a La Sportiva Lavaredo Ultra Trail, la prima da FINISHER

Ritorno sul luogo del delitto, solo per chiudere una questione aperta (ritiro 2017): portare a termine dignitosamente una prova molto rinomata e famosa ma che non rappresenta per me nulla di particolare: l’unica cosa è il fatto di condividerla con alcuni amici/alleati di trail.
Non nego che l’atmosfera delle grandi occasioni è elettrizzante, ma sono passati i tempi in cui avevo bisogno della scossa. Ora mi basta sentirmi a mio agio. E per esserlo, preferisco decisamente eventi di più basso profilo.
Tutto tranne la LUT” … nella vita a volte è importante farsi piacere una cosa che non ti piace o che non è più nelle tue corde. Farsi violenza, insomma, e trovare il bello dove non lo vedi.
“Bisogna saper affondare nel letame e uscirne profumati di violette” scrivevo al mio amico Tor quando, con suo sommo dispiacere, l’ho iscritto a tradimento alla corsa nel 2020, poi rinviata al 2021.

Non me ne vogliano gli appassionati di trail in fase 1, quella minkia, ci siamo passati tutti. Ho elaborato il LUTto, ma non chiedetemi di dichiarare che la LUT è una bella gara o che per me è qualcosa di “fondamentale nella mio percorso di appassionato corridore di montagna”.
Il trailrunning per me non è, e non è mai stato, fatto da striscioni, su le mani, a bombazza, speaker urlanti, alè alè, pacco gara, scannellate, guardarsi indietro, controllare chi è avanti e se quello che corre con me è un M40 o un M50 perchè non vado a premio, etc etc.
Parli facile tu, che li hai già fatti tutti: UTMB, Tor, Swisspeaks …. direbbero gli avvocati difensori del minkiatrailismo.
Concordo, però c’è chi resta prigioniero di UTMB, Tor, World Tour & Co: e non riesce a uscire dal vortice del grande evento, del sentirsi protagonista, dell’essere immortalato al via del sommet mondial du trail, della corsa più dura al mondo … bla bla bla.

E’ un mio pensiero, sia ben chiaro, forse sbagliato, addirittura un segno di debolezza, di rinuncia a combattere, a dare tutto, a gettarmi nella mischia mettendomi in gioco.
Confesso che la mia non è saggezza o visione snobistica del trailrunner di lungo corso. A questa “consapevolezza” ci sono arrivato solo in parte per maturazione accademica, per il resto si tratta di aver accettato lo scadimento atletico. Lo ammetto.
Diversamente da molti accademici che invecchiando passano alle rando, ai raid e a tutto quello che non è competizione accusando il resto del mondo di essere dei malati di agonismo.
Ed è probabilmente vero, ma che differenza passa, mi chiedo, tra essere ammalati e ossessionati dall’agonismo o essere sfegatati di montagna o di ferrate?
Non so se ho espresso bene quello che volevo dire, ma al momento non riesco a circostanziare meglio. Insomma esistono i minkiatrail e i minkiaccademici … bisogna saper comportarsi da accademici quando si va forte e si corre per la classifica, non solo quando gli acciacchi, l’età e il nuovo che avanza ti relega nelle retrovie e ti fa cambiare sport o dimensione.

Passo e chiudo. Sono andato fuori tema.

Torniamo alla cronaca della mia “Everything but the LUT”.

Per quanto riguarda l’aspetto atletico, siamo ai minimi storici, ma mi devo accontentare di quello che sono riuscito a costruire in questo semestre dove tra alti e bassi per lo meno ho ritrovato un minimo di adattamento alle lunghe distanze e contenuto gli acciacchi alla mia vituperata gamba sinistra

Trasferta last minute … secondo la regola per cui è meglio rimanere nella zona della morte (Cortina d’Ampezzo a giugno regno del minkiatrail) il meno possibile… dunque niente arrivo anticipato per vedere la partenza delle altre gare, osservare i campioni, provare alcuni tratti di percorsi, girare per gli stand, i negozi e fare l’immancabile e inutile allenamento di rifinitura che ti ammazza.
“Ma allora perchè fai trail se tutto quello per cui si compete non ti interessa?” chiese il minkiatrail. Rispose l’accademico: “se me lo chiedi, non potrai mai capirlo! 🙂 – e aggiunse – “ma in realtà non l’ho ancora capito nemmeno io!”

Famiglia al seguito, con Monica, Beniamino e Cherubina pronti a supportarmi in tutte le fasi e disposti a sorbirsi la trasferta e a pernottare su una tenda da tetto per jeep ai 1600 mt di Cima Banche (ma affiancati al camper di Camilla e Andrea in caso di necessità).
Ritiro pettorale in cinque minuti, saluti agli amici inclusi. Solo ai tempi del Covid possono capitare queste cose.
Partenza in prima griglia, quella delle 23 in punto. Per un soffio … pettorale 447 sui 449 assegnati in base al proprio ranking mondiale: il mio indice ITRA nonostante le poche gare è ancora dignitoso.

Sono in corsa assieme all’amico di tante avventure Tor Maistri, cui, come anticipavo, abbiamo regalato per il suo 50emo compleanno l’iscrizione a questa gara che lui detesta e snobba da anni. I veri amici esistono per questo!

Al via ci sono tanti altri Veronatrailrunners: oltre a Tor Maistri, Frizzo, Cece, Gian, Cresta, Rambo, Nic From the Coast e la Camy … lei però è in griglia d’onore, tra i top runner in odore di convocazione in nazionale.
LUT 2021 dunque vero e proprio campionato sociale Veronatrailrunners: chi conquisterà l’ambito trofeo di Best VTR Ever! Io no di sicuro!

Per me massima ambizione guadagnarmi i galloni di FINISHERRRRRRRR, non troppo lontano dalle 20 ore, meglio se di poco sotto.

Divido la sintesi della mia cronaca breve in 4 fasi: notte, mattino, pomeriggio, sera. Semplice no?

La notte mi è servita per arrivare da Cortina a Misurina il più integro possibile e cercando di capire se nonostante una preparazione a singhiozzo e una condizione atletica precaria ho la capacità di reggere i lunghi percorsi scorrevoli e veloci, dove il gesto della corsa è prevalente rispetto alla camminata veloce.
E’ la parte più brutta del percorso, dunque meglio affrontarla al buio per non rendersi conto di quante noiose piste forestali ci fanno percorrere nonostante  i sentieri fantastici che ci sono da queste parti.
Ritmo percepito: controllato ma non troppo per non perdere di vista il Tor.
Sensazione di freddo persistente nonostante la maglia in merinos e il giubbino in goretex.
Voglio vedere la luce e non voglio fare fuori giri. Voglio sensazioni di piacere nella fatica.

Il mattino: Da Misurina a Malga Ra Stua … effetto alba unitamente a sole, cielo azzurro e buona compagnia (Nic e Tor) mi rigenerano. Ritrovo piano piano una buona termoregolazione per affrontare con regolarità e buon passo la salita al rifugio Auronzo e forcella Lavaredo.
Nella lunga discesa verso Landro vivo un primo momento di difficoltà in cui un po’ per il dolore al ginocchio, un po’ per mancanza di “estro”, un po’ per un ritardo nei rifornimenti di carboidrati al mio imperfetto metabolismo degli zuccheri, perdo contatto dai miei due compagni di team.
Nella seconda metà invece ritrovo lo sprint necessario per riaccodarmi ai due e recuperare le posizioni perse. Ma è stato un errore. Dovevo restare tranquillo. Non ho nelle gambe questi cambi di ritmo. E prima o poi la pagherò. Anche meno arrembante, avrei recuperato posizioni. Ma siamo animali da competizione travestiti da intellettuali del trail.
Al ristoro di Cima Banche primo ricongiungimento famigliare. Fondamentale abbraccaire i bambini e la propria compagna e trovare ogni prelibatezza a disposizione. E una comoda sdraio per rilassarsi.
Fanta, lemonsoda, birretta, il panino delle meraviglie, i fonzies.
Sosta di una ventina di minuti, ma resto ugualmente attardato dagli altri … nessuno aspetta un padre di famiglia che abbraccia i suoi pargoletti.
Pago lo scotto dell’abbuffata nella prima salita. Impegnato nella digestione, tolgo irrorazione ai muscoli.
Grazie a una discesa migliore del previsto, recupero la truppa che si trastulla un po’ troppo al ristoro di Malga Ra Stua.
Nello scorrevole tratto boscoso di Pian de Loa perdo nuovamente contatto con i VTR ingarellatissimi.
Resto in compagnia dell’amico e compagno di mille avventure Tor, di cui però perderò le tracce in Val Travenanzes. “Mi sento ancora fortissimo in salita” le sue ultime parole prima di darsi alla macchia, mentre io avanzo puntando alla vetta senza voltarmi indietro, sicuro del suo rientro.

Pomeriggio:
nel frattempo arrivo a Malga Travenanzes dove ritrovo i VTR in fuga seduti a mangiare e bere qualsiasi cosa fosse portata al tavolo. Tor non pervenuto.
Punto al ristoro di Dos Gallina, alla ricerca della galvanizzazione che solo il ritrovamento degli affetti famigliari può regalare.
Lì giunto, apprendo del ritiro del Tor. Da oggi sarà per ribattezzato L’Uomo del Travenanzes.
Alla base vita approfitto per cambiare le scarpe (metto una scarpa mezzo numero in più ma più stretta di calzata in previsione della lunga discesa finale) e riparto dopo aver divorato un mega paninazzo. Ovviamente accompagnato dal tifo di Monica, Beniamino e Cherubina.
Soffro terribilmente la salita dell’Averau, forse al paninazzo avrei dovuto preferire un gel o un beverone di maltodestrine più facilmente digeribile. Due basi vita e due volte lo stesso errore: mangiare troppi cibi solidi più impegnativi da digerire.
Tengo duro e spingo come posso. Raramente riesco a correre in maniera non compassionevole e in discesa sono addirittura imbarazzante.
Comincio ad essere recuperato da atleti ripartiti dal Falzarego, ma ritrovo alcuni VTR ora più in difficoltà di me.
Sera: In salita mi difendo ma non ho la brillantezza e la spinta desiderate così come non riesco a correre nei tratti filanti. Mi metto in modalità finisher senza gloria e senza infamia.
Nemmeno nella facile discesa dal Mondeval al rifugio Croda da Lago ho la capacità di esprimere un gesto atletico minimamente assimilabile alla corsa, nonostante non mi senta particolarmente stanco.
E’ un blocco psicologico. Gli attriti non sono solo nelle articolazioni, spesso si acquattano in qualche oscuro anfratto della nostra testolina.
La picchiata a valle nel bosco è una lenta processione di penitenza in cui vengo sorpassato praticamente da tutti, per fortuna la maggioranza con pettorale della prova più corta. Solo a quattro km dall’arrivo, ritrovato l’asfalto e pendenze più dolci, riesco miracolosamente a correre a tratti su ritmi prossimi ai 5 al km … jogging, sì Cristian, è jogging, nulla di più. Ma la percepisco come velocità. Dio mio come sono caduto in basso.
Giungo al traguardo rilassato e in grado di intendere e volere. Accolto da amici in assenza dei bimbi e di Monica che sopraggiungono dopo pochi minuti.
La buona falcata nel finale non è sufficiente per recuperare il terreno perduto, ma mi fa arrivare comunque un po’ in anticipo sulle previsioni della APP LiveTrail e dunque la mia compagna e i bambini mi arrivano alle spalle, ricorrendomi inutilmente dopo che Beniamino mi ha avvistato da lontano.

L’obiettivo non dichiarato era stare appena sotto le 20 ore. Ci devo aggiungere 52 minuti: crono onorevole, per carità, ma ottenuto procedendo spesso e volentieri a passo compassionevole. Per lo meno sono arrivato senza necessità di accendere nuovamente la lampada frontale.

Dopogara: Medaglia, giubbino FINISHER da cacciatore seriale di pacchi gara, convivialità con gli amici, abbraccioni a bimbi e Monica, pizzetta in compagnia e poi a letto in sistemazione hors categorie a 5 stelle. Noi si che ci sappiamo trattare bene:  bimbi e Monica sempre nella tenda da tetto della jeep, io nella mia tendina installata nel parco pubblico di fronte al palaghiaccio. Nonostante la pioggia e la grandine dormo come un ghiro fino alle 5 di mattina. Poi il richiamo della vescica (cinquantenni prostata debole ….) mi costringe al risveglio.
Oramai splende il sole. Caffettino con il fornello a gas e colazione mangiando tutto quello che trovo nella mia borsa. Gironzolo come un pensionato irrequieto per il parco all’alba … finalmente alle sette anche i bambini si svegliano e nelle ore successive la mia tendina e la panchina attigua diventano luogo di ritrovo di amici e runners. Foto di rito, strette di mano sincere, sonore pacche sulle spalle, parole in libertà, scambio di doni e sorrisi.
Bell’atmosfera? Respiro quel profumo di violette di cui scrivevo all’inizio. Chiamatela se volete …. felicità. Già questo, un buon motivo che vale lo sbattimento.
Riesco a deambulare con estrema disinvoltura rispetto ai miei colleghi FINISHER … evidentemente anche questa volta sono riuscito a non dare tutto… ma oramai sono il maestro dell’incompiuto … THE UNFINISHED … ovvero portare a compimento una prova con onore ma senza mai riuscire ad esprimere il proprio potenziale percepito.
Questione di mispercezione o di sindrome del MAI CONTENTO? Chissenefrega!

LUT, pratica chiusa e archiviata. Profumo di violette!
Inspirate con le narici ben aperte … non lo sentite anche voi il profumino?
Respirè, ve prego! (cit.)

***

METABOLICAMENTE
Versione breve anche per la mia disamina #ditipo1 …
Per questa prova mi sono impegnato ad adottare comportamenti e azioni che mi consentissero di mantenere la variabile “diabete” nelle posizioni più basse delle mie priorità restando concentrato sull’obiettivo atletico che per questa edizione era: finire dignitosamente e senza soffrire troppo.
Prima guarda dove metti i piedi e dove devi andare. Poi se è possibile guardati attorno e ammira i paesaggi. In background gestisci il tuo diabete in automatico e quando necessario rifletti e agisci con decisione.
Insomma cerco di portare avanti la mia personale campagna contro la *defensive theraphy* nel mondo del diabete di tipo 1 che poi significa far girare tutto intorno alla glicemia … sembra un paradosso, ma io la penso così. Insomma, è ovvio che la glicemia conta (blood glucose matter) ma non è questo il motivo per andare fuori di testa e agitarsi ogni volta che vediamo sul monitor del sensore o del nostro smartwatch un over 250 o la freccietta in giù (e non sia mai una doppia freccetta in giù perchè allertiamo il 118!)
Sarcasmo da saputello cinquantenne, proseguo la disamina ora senza eccedere in frecciatine contro la diabetologia dello sport di regime e gli atleti con diabete con la fissa per la glicemia oltre il fisiologico.

Ecco la sequenza dei miei principi terapeutico-nutrizionali per avvicinarmi all’obiettivo “manage diabetes without being overwhelmed” (traduzione: gestisci il diabete senza esserne sopraffatto!).

  • presentarmi al via con profili glicemici buoni senza picchi (iper/ipo): quindi conta dei carboidrati rigorosa, dieta equilibrata, basale e boli adeguati, concentrazione. Cose che dovrei fare sempre h 24, ma spesso “scazzo”. Però mi conforta vedere che quando conto e sono sul pezzo, i conti tornano.
  • pasto pregara con bolo standard (rapporto insulina cho invariato 1:12 …7 unità per 100 gr cho, vabbè non ho coperto 4 grammi!) a più di 4 ore dal via per avere poca insulina residua al via.
  • assunzione a non più di 10 minuti dal via circa 50 gr di carboidrati a lento rilascio (maltodestrine DE 6 sciolte in acqua con sali minerali) senza fare bolo sfruttando la sinergia basale/movimento e quel pizzico di coda del bolo da insulina residua non completamente azzerata. Il beverone è comodo, lo tieni in una delle borracce, si assimila facilmente e non dà problemi di digestione durante il gesto della corsa che per natura è “ballonzolante”. Da valutare, individualmente, la tollerabilità alle maltodestrine. I carboidrati (gel, liquidi e affini) restano il carburante più efficiente ma possono dare problemi intestinali (aerofagia, nausea, diarrea …) così come tutti gli studi fatti su atleti di tutti i tipi e livelli rilevano. E anche di glicemia 🙂 se non si è sufficientemente insulinizzati.
  • basalizzazione (14 ui degludec) standard del periodo* senza riduzioni in vista della gara: per standard intendo equivalente alla somministrazione giornaliera in unica iniezione di degludeg Tresiba al tempo della gara in base a tipologia e intensità allenamenti e stato di forma, oltre che a peso e composizione corporea. A giugno ero in una fase di “magnitudo”. A fine gara ho portato basale a 16 e l’aumento sempre, mai abbastanza, nei gg successivi quando sto fermo per recupero. Degludec purtroppo impiega qualche giorno a regolarsi. Qui ci vorrebbe il micro. Anzi una teramia mista micro multiiniettiva. 🙂 Chissà se qualcuno ci ha pensato. Ritornando al concetto di basalizzazione, mentre scrivo, settembre 2021, per fermo stagionale da 15 gg e solo da 10 gg ripresa allenamenti a giorni alterni, ho gestito un profilo basale fino a 28/30 ui die, ora passato a 24 ui in diminuzione progressiva con l’aumentare degli allenamenti.
  • integrazioni regolari senza far passare mai più di 90 minuti senza assumere carboidrati.
Grafico profilo glicemico 25-26 giugno h 12-18 circa
  • controllo delle glicemie con Abbott Freestyle imponendomi di non decidere se integrare o meno SOLO in base al livello di zuccheri nel sangue ma anche e soprattutto al passare del tempo, al  terreno di gara (salita, discesa, lento, veloce) e ai miei fabbisogni energetici stimati. Quindi la glicemia può far slittare di 20/30 minuti l’integrazione, ma il piano deve rimanere bene o male quello. E se sto a 200 per un paio di ore per questo, amen!
  • accettare l’imperfezione

Per chi è appassionato di numeri e dotato di pazienza certosina zoomando sulla tabella trova i dati relativi a insulina, carboidrati e profili glicemici, parametrati al tempo di gara, ai km e al dislivello percorsi.

Da quando utilizzo il sensore guardo sempre meno alle glicemie puntuali preferendo  approfondire le medie per fascia oraria e ancor più il time in range o tempo nel valore stabilito che dir si voglia.
Dalle 12 di venerdì alle 18 di sabato (30 ore di cui 21 di gara) per il 72% del tempo ho avuto glicemia tra 71 mg/dl e 170 mg/dl, per il 2% sotto 70 e il resto sorpa 170.
Il tutto ciò assumendo in gara circa 35 gr di carboidrati pro ora (pari a 0,50 pro ora pro kilo) e classificandomi nel primo 35 percentile ovvero 253°  … duecentocinquantatreesimo… esimo … esimo … esimo su circa 800 finisher.