Trail dei Nebrodi

3 dicembre 2017

Cristian @ Trail dei Nebrodi • Cesarò, 3 dicembre 2017

Trailrunner Nebrodensis di tipo 1
Race Report by Cristian Agnoli

F I N I S H E R  in 9h41
[9°assoluto a parimerito con la prima donna, anche se mi hanno messo 10°, noblèsse oblige,
… a 1h44 dal vincitore …
2° MM45 … ah il premio di CATEGORIA!]

Da tempo immaginavo di partecipare a un trail invernale di media distanza dove provare ad esprimermi al meglio, soprattutto in considerazione del fatto che nella stagione autunno-invernale posso dedicarmi con maggior attenzione e tranquillità alla preparazione atletica … “de noialtri”.
Il contesto, ovvero la remota montagna sicula dei Nebrodi e l’organizzazione targata Eco Trail Sicilia, unitamente ai collegamenti aerei low cost mi hanno permesso di conciliare trail e vacanza in famiglia. Tutto perfetto e dunque iscrizione effettuata con largo anticipo per consentire la necessaria pianificazione atletica e familiare.
Peccato solo non esserci arrivato con la sperata forma atletica. Qui anche una mezza cartuccia come me poteva fare classifica … spirito Trail!
Da agosto, dopo la Sudtirol, non sono più riuscito a trovare energie e motivazioni per riprendere a correre con quel “piacere nel piacere” necessario ad ottenere miglioramenti e gratificazioni che sono il motivo per cui ci si allena.
Solo da metà ottobre ho intravisto finalmente un moderato e progressivo miglioramento, ma era troppo tardi per poter anche solo immaginare qualcosa di “strutturato, coerente e sostenibile” per giungere il 3 dicembre al top, leggi “provare a dare tutto”.
Tuttavia, anche in assenza delle velocità e delle sensazioni desiderate (chissà se prima o poi le ritroverò?), avevo macinato un sufficiente numero di chilometri in ambiente invernale e ostico, tali da guadagnarmi buone probabilità di riuscire a portare a termine la prova dignitosamente, anche in vista del probante impegno dell’Ipertrail della Bora del 5 gennaio 2018 cui mi sono trovato iscritto quasi a mia insaputa.
Dunque si va.
Dopo aver visitato Siracusa e Taormina tra venerdì e sabato, eccomi pronto al via del Trail dei Nebrodi. 66 km e 2900 d+. E ci saranno tutti.
Sveglia alle 4.40 del mattino dopo essere riuscito a coricarmi alle 21.45. Un monte ore di sonno sufficiente e necessario per arrivare al via bello carico.
Risalgo con il mio Pandino rent-a-car i 7 km di strada sterrata/dissestata che separano il centro di Cesarò dall’Agriturismo Il Feudo con Radio Freccia e i Nickelback a tutto volume.
Un bel rockettone di prima mattina…
Deposito borse, saletta calda per cambiarsi e aspettare il via con tanto di controllo materiale obbligatorio effettuato per davvero. Cosa rara nelle gare “minori”.
Speakeraggio a volume contenuto vista l’ora.
La sparuta truppa di una ottantina di partenti pronta a rallegrare la fredda mattina (-2°c) ai 1150 metri sul livello del mare di Cesarò.
Soffro meno il freddo del previsto e all’ultimo minuto opto per riporre lo spolverino nello zaino e correre solo con primo strato di lana merinos e sopra una maglia tecnica più leggera con manicotti.
Pantavento indossato precauzionalmente, ma che non toglierò fino alla fine, mentre infilo e sfilo i manicotti al bisogno.
Lampada frontale poco potente accesa … ma in fondo si tratta solo di un’ora al buio.
Conto alla rovescia e via. Subito una breve salita su asfalto ghiacciato, poi discesa su stradelli di campagna. Qualcuno ruzzola a terra sulle lastre di ghiaccio. Corricchio tranquillo, un po’ infreddolito. Fatico a trovare la giusta termoregolazione, ma confido nella lana merinos … e faccio bene!
Mi godo l’alba vista Etna, anche se qualche nuvola copre le cime.
Fango e pozzanghere caratterizzano i primi chilometri di gara, oltre all’attraversamento di numerosi guadi, dove la cosa più importante è mantenere i piedi asciutti saltando da un masso all’altro senza finire nell’acqua fino alle ginocchia.
Arbusteto e rovi precedono l’arrivo dei boschi.
Dopo il primo ristoro, si inizia a salire decisi. Siamo già sgranati.
In un microgruppetto, in realtà un trio, affronto la prima lunga ascesa sul versante orientale del Monte Soro. Scambiamo qualche battuta. Sopra i 1400 metri la neve si fa copiosa e diventa parte integrante del percorso di gara fino al 50° km.
Giungo al secondo ristoro assieme alla prima donna, Giorgia, e poco dietro il suo fiancée.
Siamo a circa 1700 metri. Tanta neve, ma quad e jeep dalle ruote artigliate conducono sin qui i volontari per rifornirci e assisterci.
Ancora un po’ di salita, seguita da un lungo falsopiano innevato dove vengo recuperato da alcuni concorrenti corsaioli. Proseguo regolare senza forzare. Il fondo nevoso impegna notevolmente i quadricipiti e mi si riacutizza un “lieve risentimento al semimembranoso della gamba sinistra” da cui soffro ultimamente e che continuo a sottovalutare ignorando il fondamentale contributo dello stretching e degli esercizi di allungamento. “Me tapino”!

Avanzo sempre assieme a Giorgia, che mi precede di poco, un po’ più battagliera e arrembante.
Il terzo ristoro arriva prima del previsto. Giusto un po’ d’acqua.
Sole, neve e cielo azzurro. Ma siamo in Sicilia o sulle Alpi?
Poi una lunga discesa dove ci ritroviamo in quattro-cinque concorrenti. Tutti molto interessati alle classifiche di categorie, mi interrogano sulla mia età per capire se marcarmi stretto o meno. Io sto sul vago e fingo totale disinteresse per il premio di categoria, miiiiiii.
In discesa al dolore al semimembranoso si aggiunge quello al ginocchio sinistro. Per fortuna sono solo 500 metri di dislivello negativo.
Il percorso non è quasi mai tecnico. Piste forestali, prati, qualche masso quà e là, ma di single trail nemmeno la traccia.
Giunti a valle, l’attraversamento dell’ennesimo guado. Questa volta bagno un po’ i piedi, ma senza raffreddarli.
Cavalli, capre e mucche ancora al pascolo, richiamate dai versi dei pastori.
Una ripida erta a seguire, dove, per la prima e unica volta della gara, attacco un po’ per scrollarmi di dosso un paio di concorrenti.
Me ne pento subito, Accusando un po’ l’accelerazione, ma sul successivo falsopiano seguito da leggera discesa recupero un altro concorrente e soprattutto mi accorgo che alle spalle ho fatto il vuoto … Giorgia a parte, che grintosa, mi rimane alle calcagna.
Arriviamo assieme al ristoro del 40° km dove finalmente un po’ di thè caldo ci scalda le budella. Un po’ di pubblico qui giunto con la carovana dei volontari.
Tratto pianeggiante a lambire il Lago Maulazzo (credo) fino a iniziare la più impegnativa delle salite della giornata. Tutta su fondo nevoso, dove il piede quando non sprofonda, perde appoggio o trazione.
Nonostante un balisaggio impeccabile e a prova di errore, un concorrente arriva dal bosco avendo smarrito la via, ci saluta, e scatta in salita fresco come una rosa. Scarpe e fuseaux immacolati. Bravissimo ad evitare le pozzanghere e a sfruttare la neve come detergente naturale. Beato lui!
Avvisto il famigerato suino nero dei Nebrodi, di cui assaggerò la gustosissima carne all’agriturismo nella cena dopo gara.
Il sole allevia finalmente il freddo e avverto per la prima volta dalla partenza un po’ di calore sul viso e sulle braccia. La salita è ripida nella parte iniziale. Poi più dolce, e addirittura corribile, se non fosse per la neve.
La cima del Monte Soro non sembra arrivare mai: le stradelle ci girano attorno, senza puntare dritti alla vetta. Il dritto per dritto qui non sanno neanche cosa sia.
La discesa, sempre su morbida pista forestale innevata, è immersa nella faggeta.
Zero antropizzazione. Solo neve e natura.
Resto qualche metro distanziato da Giorgia, ma cerco di ottimizzare le traiettorie e, soprattutto, approfitto per mangiare un po’ di tarallucci, snack salato alternativo a barrette e gel. Condotta prudente che mi consente di salvare le gambe, soddisfare il palato e mettere ancora un po’ di energia nel motore.
Finalmente il quinto ristoro sulle sponde del lago di Biviere.
Appena ti fermi ti ghiacci. Anche qui provvidenziale il thè caldo anche se ripartire subito è fondamentale: ”il 75% del calore è prodotto dal movimento”.
Il percorso prosegue ora su ampia strada sterrata dal fondo ghiacciato con dolci pendenze.
Qui chi riesce a correre fa la differenza. Giorgia ci prova, io proseguo alternando passo spinta a corsetta. La fluidità di corsa non è in questo periodo la mia qualità migliore.
In lontananza avvisto la sagoma di un concorrente e noto che anche così recuperiamo terreno.
Siamo oramai alla settima ora di gara e comincio a mettermi in modalità “finisher” ovvero mantenere la concentrazione, non abbattermi, procedere regolare e scacciare i cattivi pensieri, pericolosissimi, con l’avanzare della fatica.

La compagnia di Giorgia in tal senso aiuta (ma credo sia stato reciproco).
Una corsa dove a parte i volontari ai punti di ristoro non trovi niente e nessuno.
Qualche casolare, qualche edificio della forestale e qualche capanno annunciano che ci stiamo avvicinando all’ultima parte di gara che non manca di regalare salite e saliscendi impegnativi.
Dal 50° km alla neve si sostituisce il fango.
Il sole splende ancora, per fortuna, e la stanchezza ci è più lieve. Il percorso è anche più vario, con qualche discesa e variante nei prati che distraggono dall’impegno fisico.
All’ultimo ristoro recuperiamo per l’ennesima volta il concorrente avanti a noi, per riuscire a superarlo solo dopo un paio di chilometri. Questa volta però il tenace trailrunner siciliano mostra chiari segni di difficoltà. Accertato che non necessiti di assistenza, proseguiamo del nostro passo.
Ora sono io a dettare il ritmo, mentre Giorgia va un po’ a fasi alterne, ma sempre  francobollata alle mie terga.
La incoraggio un po’ … anch’io avverto un po’ di fisiologica stanchezza, ma riesco a ingannare lo sfinimento manifestando confidenza e lucidità.
Scolliniamo l’ultimo gpm assieme e corricchiamo fino a ritrovare l’asfalto in vista di Cesarò.
Qui vengo accolto dalle urla festanti dei miei bambini che prendo per mano e conduco al traguardo, invitando anche Giorgia (comprensibilmente emozionata per la vittoria) a farlo tutti assieme.
Arrivo memorabile nella piazza centrale pressochè deserta.
”Grande pubblico!” Evviva. Fatta anche questa.
Provato, più per i piccoli acciacchi e doloretti che mi hanno afflitto durante le nove ore e quarantuno primi di trail, che per reale esaurimento energetico.
Entusiasmo, loquacità e lucidità del fine corsa penso siano segnale inequivocabile.
Si poteva fare meglio? Atleticamente ho ottenuto il massimo che potevo in base a stato di forma attuale e del terreno di corsa. Sono rimasto comunque sotto la soglia psicologica delle dieci ore, anche se i tempi di percorrenza risultano fortemente condizionati dalla tanta neve incontrata sul percorso (il primo ha impiegato un’ora in più rispetto al miglior crono dell’edizione precedente).
Forse ugualmente venti minuti in meno si potevano “cacciare”, ma non ho mai avuto la sensazione di poter cambiare passo senza finire bollito, quindi bene ho fatto ad affidarmi alla “marcia lenta e regolare”.


Pasta party marcando stretto il servizio cronometraggio. Nel trail la classifica non conta? Nono a parimerito anche se risulto formalmente decimo. Noblèsse oblige. Appurato inoltre che sono arrivato “secondo di categoria MM45”, ma nel trail le categorie sono cosa di poco conto, riesco a portarmi a casa il premio, facendo accelerare i tempi delle premiazioni, senza però infrangere il protocollo e il regolamento, cui i runners siciliani sembrano essere molto attenti e pungolare gli organizzatori.
Con la mia bottiglia di vino, il mio limoncello, un finocchio, due mele e una pera nella borsetta di stoffa della Coldiretti Sicilia a tracolla, avanzo fiero per le vie del centro di Cesarò, con orgoglio “sacchettaro”: saluto gli amici vecchi e nuovi, i bravissimi volontari e gli indefessi organizzatori, per fare rientro all’agriturismo e godere del meritato riposo. La vacanza prosegue ora su altri fronti di cui risparmio ai lettori il racconto.
Mentre per gli addetti ai lavori segue una dettagliata analisi ”metabolica” della mia condotta #ditipo1 [work in progress]

Finish line. Con i miei bimbi e la 1a donna, Giorgia, con cui ho condiviso praticamente tutta la gara

STORYTELLING METABOLICO

Le prove di trailrunning rappresentano per me stimolo e occasione di studio fai-da-te sulla pratica sportiva di performance e di endurance in atleta con diabete di tipo 1. Non certo una novità, lo faccio da anni, ma cercando di metterci dentro sempre qualche nuova considerazione o meglio argomentando vecchi temi.
Fermo restando che questa analisi non mi preclude di vivere la sana vìs agonistica dello sport competitivo, di guardarmi intorno, di interagire con altri concorrenti, di salutare e ringraziare i volontari e di apprezzare i luoghi attraversati.
Forse questo “mapazzone autoreferenziale” può apparire eccessivo per uno che alla fine non fa altro che correre così come siamo geneticamente programmati a fare in quanto discendenti da cacciatori-predatori bipedi, e potrei anche evitare al lettore questo sbrodolamento di parole, ma lo ritengo ancora residualmente “utile”.
Se non lo avete capito, è un avvertimento. Fermatevi qui e se proseguite lo fate a vostro rischio e pericolo.
Al netto

  1. delle difficoltà intrinseche di un percorso trail in ambiente invernale e montano
  2. dei limitati mezzi tecnologici a disposizione e della mia capacità di ben argomentare
  3. della complessità dell’argomento e dei miei limiti personali, atletici e cognitivi

ho raccolto i dati al meglio.
Volevo anche misurare chetoni e lattati, ma ho rinunciato per le avverse condizioni ambientali e logistiche.
Pre-gara: Ultimo allenamento giovedì, con buone sensazioni. Poi riposo atletico.
Sensore Abbott Freestyle montato (e adesso anche in piano terapeutico) dopo che ne ho studiato a lungo pregi e difetti e optato per l’abbandono definitivo del glucometro tradizionale.
Basale a 19 ui (0,26 ui pro kg), aumentata di 1 ui, a partire dalla sera precedente (per essere ben basalizzato anche nelle ore/giorni successivi alla prova quando non mi sarei allenato) e ultimo bolo correttivo (3 ui) a mezzanotte (6 ore prima della partenza = insulina rapida residua 0).
Ho mantenuto un compenso tendente al buono nelle 24/48 ore precedenti la prova e sono riuscito a riposare bene per 7 ore (quasi) filate. Negli ultimi 7 gg (dati da sensore) glicemia media 153 mg/dl, e tempo nel valore stabilito (70-180) 72%, superiore 26%, inferiore 2%.
Sveglia: h 4.40. Bg 202 mg/dl  (range della notte 167-202 nonostante la correzione delle 00.30 e il bolo generoso a cena). Propositi di euglicemia in fase pre-gara saltati dalle 2 di notte. Amen. Evidentemente ho mal stimato l’enorme piatto di pasta servito all’agriturismo e altri intingoli.
Partenza senza fare colazione: scorte piene garantite dalla cena.
Avevo impostato una strategia delle integrazioni a tavolino, in ottica “massimizzazione della performance” (scenario di massima integrazione possibile) come segue: beverone 50 gr cho + MTC (grassi a catena rapida) 6 gr cho alla partenza (senza bolo ma con profilo basale generoso, vedi sopra). Dai 90 minuti in poi integrare regolarmente alternando maltodestrine liquide, gel, barrette/snack salati, per un totale di circa 360 gr di cho (prime 2h di gara: 70 gr; 2h-4h 100 gr;  4h-6h 70 gr; 6h-8h 70 gr; 8h-finish 50 gr) su 9 h = 540 minuti di gara, ovvero 0,60 cho p/ora p/kg.
Il tutto elaborato in base a integrazioni e risposte metaboliche delle uscite lunghe eseguite nelle scorse settimane, un po’ in base a quanto suggerito dalla letteratura dello sport, così da avere un supporto energetico sufficiente nel caso avvertissi la possibilità di “tirare la gara”.
Durante la gara: Niente riscaldamento. Alle 6 in punto si parte.
In relazione al trend glicemico = 200 del risveglio, ancora animato da intenzioni battagliere, ho scelto di non fare nulla dal punto di vista terapeutico confidando nella buona basalizzazione. Ho solo evitato di assumere subito i 50 cho del beverone a base di maltodestrine mischiato a tè caldo al via. Ho preso l’integratore di grassi MTC a catena rapida da 6 gr di cho, sorseggiando e spalmando le maltodestrine nella borraccia sulla prima ora di gara (la bevanda era piacevolmente tiepida all’inizio, poi si è velocemente raffreddata rendendo la deglutizione faticosa e il rischio “mar de panza” assai elevato … da valutare in condizioni invernali l’utilizzo di integratori solidi al posto dei beveroni o verificare la presenza di bevande calde fin dai primi ristori).
Andatura molto controllata nei primi 60 minuti con terreno prevalentemente in discesa.
Risultato: una decisa impennata sopra i 300 mg/dl. Solo tra la seconda e la terza ora sono rientrato entro range accettabili, ovvero poco sotto i 200 mg/dl.
Mi ero imposto di integrare entro le 2h30-3h di gara senza nemmeno guardare la glicemia (leggi monitorarla senza farsi condizionare!) cercando di equilibrare i ragionamenti glicometabolici con quelli fisiologici: ero basalizzato, la gara lunga, l’impegno muscolare notevole, se non per i ritmi, di certo per il dislivello e il terreno (fango, ghiaccio, neve) e dunque bisognava “mettere dentro benzina”.
Ho assunto in primis una barretta proteica con 16 gr. di cho, dopo circa 2h30, in prossimità del secondo ristoro (22° km) e un gel di maltodestrine da 28 cho al 30° km circa (3h40 di gara).
Da qui ho cercato di riprendere il mio schema integrazioni elaborato a tavolino, pur avendo notato che le frequenze e i ritmi da me sostenuti (e sostenibili) non erano compatibili con la massimizzazione della performance, e dunque di CHO.
In base a sensazioni, efficienza muscolare, pragmatismo e esperienza, ho rimodulato la mia strategia in “minimizzazione della fatica“, unico modo per portare a termine la prova onorevolmente.
L’acqua gelida e la mancanza di tè caldo fino al 4° ristoro (42° km, circa 5h30 di gara) mi hanno fatto preferire integrazioni con gel e barrette/solidi senza sciogliere le maltodestrine nell’acqua.
Il tè caldo leggermente zuccherato (10 cho) un vero toccasana. Appena iniziata la seconda lunga salita (dopo 2 km circa dal ristoro) altri 28 gr di cho sottoforma di maltodestrine da gel. Guarda caso appena alzi il ritmo o il percorso si fa muscolarmente più probante, i consumi aumentano.
Sulla lunga discesa dalla cima del monte Soro, ho approfittato invece per sgranocchiare un pacchetto di tarallucci (28 gr di cho), così da mettere nello stomaco qualcosa di salato. Un po’ laboriosi da ingurgitare: un’eternità per masticarli. Due tarallucci e un sorso d’acqua, ripetere, fino a finire il pacchetto. Che fatica!
Giunto al 5° ristoro (circa 7a ora di gara) sono riuscito a sciogliere le maltodestrine in polvere dosate (ca 50 gr di cho) con acqua e poi ho mischiato il tutto con il provvidenziale tè caldo nella borraccia più grande per portarla a temperatura bevibile.
Al 6° (e ultimo) ristoro (8 ore di gara) giusto un po’ di chinotto (circa 25 gr di cho) e del tè caldo dalla marmitta sul fuoco (sapore indefinito, un po’ affumicato dalla fuliggine che ci era finita dentro).
Alla fine della prova 141 mg/dl da strisciata sensore.

Lo striminzito ma esaustivo specchietto qui sopra pubblicato, riassume i dati della mia gestione metabolica (integrazioni, media glicemie e andamento temporale) dalla mezzanotte di sabato alle 18 di domenica: una media di 200 mg/dl nelle 20 ore tra pre-gara, gara e dopo gara, valori non certo in linea con il buon compenso.
In totale durante la prova, durata la bellezza di 580 minuti, circa 240 gr di cho, dunque “solo” 0,34 gr di cho pro ora pro kg, performando senza crisi o bruschi rallentamenti, soffrendo e faticando come tutti, ma patendo il meno possibile e ottenendo un discreto risultato (arrivare nel primo 15 percentile è sempre positivo)
Con il sensore montato, e ben funzionante (a parte un paio di stop per le temperature troppo basse e forse la sovrastima dei picchi iperglicemici, oltre alla mancata verifica con glicemie capillari) non ci sono scuse … il compenso, lo ribadisco, è stato appena accettabile, ma da come ero partito, sono riuscito, dalla terza ora di gara, ad integrare adeguatamente con valori glicemici mantenuti stabilmente under 200 mg/dl.
Per lo meno la variabilità glicemica è stata contenuta e, cosa di non poco conto, il fattore “ipoglicemia” si è rilevato inesistente durante tutta la prova (anche se avrei voluto ottenere lo stesso risultato con range glicemico di 80/100 mg/dl più basso).
Per il futuro resta da lavorare sulla gestione dei pasti pre-gara fuori casa e soprattutto avere le idee più chiare sull’obiettivo atletico: tanto lo sai se puoi permetterti di “tirare” o se devi andare di “conserva” … ma rimane l’incontenibile tendenza all’illudersi e sognare dell’atleta amatore in cerca di gloria (categoria di cui resto uno dei massimi esponenti).
Mi assegno, comunque, una sufficienza, frutto della media tra “compenso” (voto 5) e “prestazione” (voto 7).

Dopo la gara: A 30 minuti dalla fine della prova, ero seduto al pasta party, consumando una moderata quantità di pasta (avevo lo stomaco un po’ chiuso) e ho preferito completare il pasto assumendo un beverone di recupero “competition” a base di carboidrati e proteine = 35 cho). A seguire un bicchiere di vino rosso (qui la fisiologia dell’esercizio non c’azzecca …).
Difficile quantificare i cho del formato di pasta servito, ma nel dubbio ho adeguato il bolo e sono riuscito ad arrivare alla cena in euglicemia (102 mg/dl).
Basale invariata a 19 ui, cena abbondante ma non mi sono strafogato. Smanettando un po’ sui boli sono riuscito a gestire l’eccesso di grassi e proteine della cucina tipica servita all’agriturismo.
Sempre per la serie ”le buone intenzioni mancate”, avrei voluto svolgere un allenamento a digiuno il lunedì mattina della durata di 40 minuti, per valutare lo stato del recupero e le risposte metaboliche a poche ore da una prova di endurance muscolarmente probante, ma sono rimasto nel lettone al calduccio e “fanculo” le sperimentazioni.
Ho ripreso a correre mercoledì, una volta rientrato a casuccia, con buone sensazioni e voglia di spingere … cosa che non mi capitava da tempo. Passo e chiudo.

Pistolotti: Diabete o non diabete, accetto, benedico e “riconosco i benefici dei carboidrati come miglior substrato per l’esercizio in tutta la gamma di intensità/volume di allenamento”.
Ho sempre sostenuto (e verificato su me stesso e su altri atleti con diabete di tipo 1 a me equiparabili) che per attività di endurance a medio-elevato impegno (70-85% Vo2max), in soggetti con diabete di tipo 1 allenati, con discreto compenso e buona insulinizzazione basale (indipendentemente dalla terapia con penne o micro),  la sinergia tra profilo insulinico basale e attività fisica è sufficiente a metabolizzare un elevato carico di cho anche in assenza (sigh!) di euglicemia o valori stabili nelle fasi pre-gara, senza necessità di boli in analogo ultrarapido, sicuramente a partire dai 75-90 minuti di attività.
Nel caso di questa prova al Trail dei Nebrodi,  è però mancato per lunghi tratti il “medio elevato impegno” e con i primi 40 minuti di gara praticamente in discesa, sicuramente un po’ di insulina rapida a inizio gara a supporto della basale mi avrebbe consentito di mantenere un profilo glicemico più consono.
Il confine tra scelte di integrazione a fini energetici e a fini “glicemici” è sottile, spesso si intreccia, ma più siamo capaci di gestire il nostro metabolismo a insulina esogena ragionando da atleti più ci possiamo permettere di gestirci in termini “fisiologici” e meno “glicemiologici”.
Quando parlo di glicemia e pratica sportiva di performance non mi riferisco alla ricerca di un valore (o range di valori) in base al quale decidere se fare o meno una mossa, ma alla “scelta di approccio terapeutico”, ovvero quel livello di insulina a bordo e intensità di performance che mi garantiscano l’assimilazione dei CHO che fisiologicamente stimo di dover assumere per “tot” tempo. Ovvio che questa variabile è strettamente correlata ai substrati energetici utilizzati e dunque alle intensità sostenute in gara e basta poco per consumare di più o di meno.
In base a questo uno decide se modificare la propria insulinizzazione (con il micro agendo sia su basale che bolo, con le penne solo sul bolo), ma alla fine in un soggetto allenato con terapia adattata al proprio stile di vita da atleta non credo che smanettare sull’insulina sia sempre così proficuo e forse conviene agire sul fattore “CHO” visto quanto detto prima sui substrati energetici (perchè solo e sempre meno insulina, quando invece più insulina ci consente di metabolizzare più carboidrati … e sull’endurance mica parliamo di sfangarla per un’ora o due … si tratta di performare per parecchie ore).
A volte bisogna anche accettare qualche fugace “picco” purchè si abbia la ragionevole certezza (e esperienza) di essersi cucito addosso un “abito” terapeutico (leggi insulinizzazione e strategia delle integrazioni) coerente alla performance atletica impostata e sostenibile.

Equipaggiamento (abbigliamento di gara)
Scarpe: Hoka Mafate 2 sole Vibram by ZM Zanchi
Calzettone trekking marca sconosciuta ma zero vesciche e piedi caldi
Calzoncini: Skins Compressione + copripantalone Kalenji (mai tolto per tutta la gara)
Maglia termica manica lunga: Rapha Merinos con cappuccio
Maglia tecnica: Montura manica corta con tasche sul petto + manicotti con capuccio antivento
Occhiali da sole + copricapo + guanti merinos antiacqua Skinzhead
Gps Garmin Epix con cardio montato
Sensore Abbott free-style (con custodia in lana, non sufficiente cmq a garantirne il funzionamento sotto certe temperature)
Lampada frontale Petz 70 lumens (per la prima ora di gara)
Telefono cellulare con bustina
Zaino Mammut Mtr 201 12 litri
Nello zaino:
Lamp Petzl 70 lumens
Ecotazza
Maglia termica di scorta manica lunga Skins
Gilet senza maniche antivento
Pantaloncino corto di ricambio
Calze di ricambio
Coperta di emergenza
Kit primo soccorso + insulina ultrarapida
Giubbino Montura Skialp
Dotazione Integratori: 2 barrette da 33 cho, 2 barrette da 16 cho,  2 pacchi di tarallucci da 28 cho, 3 maltogel da 28 cho, 1 explosive da 22 cho, 1 busta competition da 35 gr di cho.1 borraccia da 75 ml (con 45 gr di cho maltodestrine) + 2 bottigliette da 25 ml con 90 cho di maltodestrine in polvere da sciogliere in acqua al bisogno.