Stelvio Ultra Trail

Cristian @ Stelvio Ultra Trail • 6 luglio 2019

 

Stelvio Ultra Trail Race Report
“Cinque alla fine …. No grazie!”
Quitter is the New Finisher

I monti sono maestri muti e fanno discepoli silenziosi … (ma narratori)

Solda, provincia autonoma di Bolzano, 1850 mslm, Alpi Retiche Meridionali … il gruppo dell’Ortles a dominare la valle, il Gran Zebrù, il passo dello Stelvio.
Quando a febbraio mi sono casualmente imbattuto in questa gara, è stato amore a prima vista. Insomma un’attrazione questa sì fatale.
Luoghi e montagne che non ho mai frequentato, ma che richiamavano in me lo spirito montagnard vero.
E dunque se dovevo scegliere un posto dove gareggiare, qui dovevo venire. Altimetria, sviluppo, foto, cime, descrizioni: tutto faceva presagire un percorso “tosto” dove “il faut avoir le pied montagnard”.
Click, doppio click, procedura di registrazione, carta di credito … pochi secondi e ti trovi iscritto (o nei guai?)
Prima e unica gara in vista del Tor des Geants. E anche ultima “gara” da presidente Diabete No Limits Onlus.
Inserita nel cuore della preparazione, voleva essere un test di verifica personale per capire come sono messo, se reggerò al carico di lavoro programmato e se motore, telaio e centralina lavorano all’unisono.
Purtroppo non è finita bene da un punto di vista prettamente “agonistico” nel senso che, dopo aver navigato senza troppi patemi intorno alla 20a posizione, procedendo del mio passo, mi sono ritirato a poco più di 5 km dall’arrivo con soli 400 metri di dislivello da percorrere.
Cinque alla fine? No grazie.
Quando soffri di nausea e malessere già da 3 ore e ti ritrovi a vomitare, allora pensi che è bene finirla senza il titolo di FINISHER: la questione non è finire a tutti i costi, ma prepararsi e condurre performance come questa senza avere problemi (o avere gli strumenti per risolverli celermente).
Insomma, non cerco giustificazioni, anzi, senza vergogna, mi conferisco il titolo di QUITTER (= ritirato).
Quitter is the New Finisher?
Quando ci finisci dentro, meglio accettare il “game over” e guardare avanti. Keep calm it’s just running. … in fondo è solo una corsa.
Riassumendo, nella mia concezione di pratica sportiva, dopo aver vomitato e passato parecchio tempo con cerchi alla testa e malessere generale, ci si ritira. Stop! E, anche se molti non mi crederanno, anche avessi finito, non cambierei il mio giudizio sulla condotta. Ho evidentemente commesso qualche errore. 

Non ho ancora capito dove ho sbagliato, e questa mia breve cronaca di Stelvio Ultra Trail vuole essere una fotografia fedele di quanto accaduto, ripassando punto per punto, senza bollare il tutto con un semplicistico “sono cose che capitano”.

“Sono cose che capitano? Ma che razza di atteggiamento è questo?  Capitano perchè in questo paese è pieno di gente che quando queste cose capitano dice sono cose che capitano!” (cit. Questo pazzo pazzo pazzo mondo, film 1963 regia Stanley Kramer)

#Cronaca:
Sveglia alle 3 in punto. La tenda da tetto montata sul Massif è un piccolo gioiellino (mod. Columbus) con materasso e cuscini comodissimi. Nel mio sacco a pelo al calduccio, fin troppo. Sonno profondo nella prima parte tant’è che mi sono svegliato convinto fosse ora di alzarsi, guardo l’orologio ed è solo … mezzanotte. Bene, le restanti tre ore di sonno le passo in dormiveglia alternando sonno, sogni e pensieri nel cervello che non vuole spegnersi.
Avendo cenato alle 20.45 non ritengo necessario fare colazione e dunque solo caffè dal thermos ancora caldo e un beverone di maltodestrine con un po’ di sali da assumere a piccoli sorsi nella prima ora di gara.
Veloce vestizione, manicotti inclusi. 10 gradi.

Indosso tutto il materiale preparato la sera prima, ma senza prestare la dovuta attenzione.
Dimentico infatti di mettere nello zaino i 2 panini al formaggio (al briefing avevano detto che ai ristori solo acqua, frutta e maltodestrine in polvere), il kit medico (cerotti, pomate, farmaci per stomaco e nausea) e la mini coca (al briefing si evinceva che non c’è coca-cola ai ristori).

E pensare che sono anche tornato indietro a prendere i bastoncini!
Nel breve trasferimento alla partenza sento comunque le gambe leggere e una buona confidenza con le Altra Olympus … ebbene sì, ho deciso di provare la scarpa a drop zero sui lunghissimi.
Inizialmente le avevo bocciate, ma poi, anche a seguito della mia migliorata situazione muscolo-tendinea, mi sono trovato meglio e ho voluto testarla sui lunghi percorsi e così capire se la posso tenere buona in ottica Tor des Geants.
Giusto il tempo di salutare gli amici al via, ci raggruppiamo all’interno della Sporthalle per un selfie benaugurale. Partenza alle 4.05. Una truppa di cento concorrenti o poco più. Pubblico zero! Così mi piace.
Parto prudente, per ascoltarmi e capire se è tutto a posto, e ripassando dove ho messo le cose nello zaino al bisogno. Perdo subito di vista i miei compagni di ventura. Poi, appena inizia la salita verso il rifugio Milano aumento lievemente il passo. Al primo ristoro siamo tutti assieme.
Difficile fare proiezioni visto il terreno di gara piuttosto tecnico, ma la tabella di marcia è per un crono tra le 13 e le 14 ore.
Lampada frontale via, alba meravigliosa. Da qui proseguiamo assieme nel bellissimo traverso su sfasciume per il rifugio Coston prima e poi per salire in ripidezza al rifugio Tabaretta. Provo un attimo la gamba per capire come sto. Con Alberto scolliniamo avanti prima di iniziare la lunga discesa su macereto verso loc.  Tre Fontane, dove non esageriamo mai e andiamo di conserva, divertendoci pure.
Al ristoro ci ricompattiamo di nuovo tutti. Marco e Nik in discesa ci hanno ripreso tutto il vantaggio. Siamo nei tempi come mi ricorda il precisissimo Alberto.
Ora 1200d+ tutti d’un fiato fino al passo dello Stelvio. Ancora avanti, in scia alla prima donna, che comunque ha un passo decisamente superiore al nostro. La teniamo a vista e continuiamo a salire prima nel bosco poi su rocce, sfasciume e macereto con la neve che torna protagonista e il sole che picchia forte. Ho scorte d’acqua abbondanti e sfrutto comunque la neve per raffreddare polsi, ginocchia e nuca. Cappellino in testa sempre! Piacevole brezza.
Al ristoro del passo giungo sempre assieme ad Alberto oramai fidato compagno di viaggio … a me interessa andare regolare senza strappare, a lui la compagnia. Ci intendiamo a meraviglia.

Al ristoro l’unica cosa che mi piace è l’anguria. Ne mangio forse troppa … assieme a qualche pezzo di arancia. Sento di aver esagerato, con la pancia che brontola un po’,  ma non ci do’ peso.
Pochi metri avanti troviamo la moglie di Alberto che nel frattempo ci ha procurato una bottiglia di coca cola e … non mi pare vero. Thanks Coca Cola Company!
Assumo anche, per la prima volta in gara (ma avevo testato già la tollerabilità in allenamento), una boccetta di chetoni esteri come programmato ovvero dopo 6/7 ore di sforzo.
Risaliti al Garibaldi, altri 100 mt d+ che lasciano il segno, inizia la lunga discesa a valle (con qualche traverso innevato esposto che se cadi ti ritrovano 500 metri sotto!) passando per il rifugio Forcola. Procedo di conserva e invito Alberto a fare lo stesso perchè la gara si fa dal 55o km in poi.
Al rifugio Forcola sempre la solita solfa … solo acqua frutta e robaccia immangiabile. Dunque integro di gel. Siamo un po’ stanchi, ma ancora lucidi e le gambe spingono sulle salite e reggono in discesa.
Successivamente calo di ritmo e avverto le prime lievi difficoltà ma resto fiducioso perchè scendo comunque trotterellando e macino strada. Continuo a bagnarmi alle fontane. Prima un piccolo cerchio alla testa e poi negli ultimi 10 minuti inizia anche un po’ di nausea. Inizio il rewind delle cose fatte per capire come rimediare. Integrazioni puntuali, glicemie a posto, ritmi e frequenze da endurance senza fuori giri. Dove ho sbagliato?

Resto concentrato e infatti non sbaglio mai strada, nonostante una segnaletica latitante, al contrario dei tre che mi precedono (Alberto, la prima donna e un altro concorrente) che vedo arrivare da dietro al paesino di Stilfs prima di scendere al ristoro.
10 ore di gara. Al ristoro non c’è niente. Simpatia e acqua non bastano a risollevarmi. Sono in difficoltà. Mi metto all’ombra, cerco refrigerio e di farmi passare il malessere bagnandomi la nuca.
Nel frattempo l’amico Nik the Stihl, in gara nei primi 10, mi telefona, chiedendomi dove sono perchè lui è da due ore che gira con altri 3-4 concorrenti e non trovano il percorso, nemmeno con la traccia.
Al ristoro informiamo gli organizzatori. Nel frattempo sopraggiungono altri concorrenti.
Io sto un po’ meglio anche se sono preoccupatissimo perchè quando ho queste sensazioni se non prendo un biochetasi non mi passa più. Ma il biochetasi l’ho dimenticato in macchina.
Nel frattempo arriva anche Nicola, mentre Nik the Stihl fa rientro dal percorso scuotendo la testa e annunciando il ritiro perchè si è stufato di girare a vuoto in cerca del sentiero.

Dopo aver deciso (?) di proseguire, ripartiamo in un gruppetto di ⅞ concorrenti di cui due con la traccia per vedere di trovare il percorso giusto. Spirito Péloton!
Ho l’accortezza, mezzo moribondo, di raccogliere due balise ufficiali della gara lasciate su un muretto dove non servivano a niente. Una per me, una per Nicola.
Alla fine troviamo il punto non segnato, un drittone su di un prato che i boscaioli locali hanno pensato bene di debalisare. Ci pensiamo noi a sistemare la segnaletica per quelli che seguono in attesa che vi provveda l’organizzazione e iniziamo la durissima risalita nel bosco.
Caldo e per un’ora e trenta troviamo solo una freccia su un tronco. La via è univoca.
Il cerchio alla testa non mi abbandona, la nausea nemmeno, procedo respirando profondamente e sperando che col passare del tempo la situazione migliori o si stabilizzi. Per fortuna nessuno ha gambe per accelerare troppo con Nicola e Alberto che si voltano ogni tanto a controllare dove sto.
Fontane finalmente. Tra piccole soste e acqua fresca tengo botta, ma il percorso non molla mai e la discesa non arriva. Sempre in saliscendi estenuanti. Inoltre c’è pure una variante di percorso per aggirare un tratto di sentiero chiuso.
Finalmente a Malga Toro quota 2250 siamo alla fine della salita. Una bella fontana. Ci siediamo a rinfrescarci. Il gruppo nel frattempo si è sfilacciato.
Rinfrancato per aver raggiunto la cima,  inizio a …. vomitare. Per fortuna, mi dico, perchè mi sento liberato.
Qualche minuto per riprendermi e non far preoccupare  i compagni di gara (fin troppo bravi a stare con me) e iniziamo a scendere. Mi sembra di aver risolto e prendo addirittura la testa speranzoso. Ma l’euforia dura poco, torna il malessere e le gambe molli. La decisione è presa. Comunico a Nicola e Alberto che mi sarei ritirato a prescindere appena giunto al ristoro di Waldruhe.
Vedo anche di integrare visto che da più di due ore non prendevo niente per inappetenza: il profilo glicemico è borderline e  ho consumato parecchie energie. Un gel all’arancia, poco meno di 20 gr di carboidrati è l’unica cosa che riesco a ingurgitare.
Per fortuna il rifugio / ristoro è a quota 1800 e non a quota 1600 come erroneamente ricordavo.
Il cielo si fa grigio, la ragazza dell’organizzazione ci annuncia l’arrivo imminente di una tempesta.
I compagni di viaggio ripartono in fretta per arrivare in vetta dell’ultima salita prima di lampi e tuoni. Li saluto sorridente. Per me finisce qui. Mi aspettano due km di pianura per arrivare a Solda bypassando l’ultimo gpm.
Prima pausa-birretta al rifugio per riprendermi (ne bevo metà, sono ancora stomacato) e un po’ di acqua frizzante.
Piove, anche forte, aspetto un po’. La moglie di Alberto è in zona e mi chiama per venirmi incontro. Non lo ritengo necessario, ma lei insiste e allora ci becchiamo per strada e facciamo rientro assieme in zona arrivo giusto in tempo per vedere arrivare gli amici sul percorso. Io nel frattempo sto meglio e mi sono ripreso completamente.
Poco pubblico all’arrivo e tante persone che si lamentano dei ristori, del percorso, dell’organizzazione.
Stelvio Ultra Trail … mi piacciono le gare minimal, senza troppa assistenza. Certo che l’organizzazione avrebbe dovuto chiarirlo in maniera più esplicita. Si è invece sottoposta alle ire dei tanti concorrenti incazzati neri per mancanza di segnaletica in alcuni punti, nessun volontario sul percorso, ristori con acqua e frutta, passaggi esposti non presidiati, pacco gara inesistente e chi più ne ha più ne metta.
A mente fredda però se ripenso a tanti piccoli particolari (gara prima edizione, mancanza del regolamento sul sito, zero comunicazione, pagina FB non aggiornata, situazione al ritiro pacco gara, briefing) bisognava dedurre che si trattava di una gara da cui non ti potevi aspettare nulla e quindi era bene entrare in modalità “fai-da-te” cosa cui peraltro sono abituatissimo e preparatissimo: i presupposti per lacune organizzative c’erano tutti e ne avevamo avuto conferma appena giunti sul posto.

Forse un po’ di sufficienza e un po’ di stanchezza mi hanno reso meno lucido e brillante nel preparare il materiale di gara e aggiungerci quelle due tre cosette che mi avrebbero reso completamente indipendente dal servizio gara e di rimediare ai problemi incontrati.

L’acqua calda non manca nei bagni del centro sportivo, con box doccia dove resto parecchi minuti a godermi il flusso bollente.

Cambio d’abiti, pelle profumata, scarpe asciutte, saluti, convenevoli, bottiglia di birra come premio partecipazione.
Guardo le montagne sopra di me e con la mente vado a ricordare i passaggi fantastici della prima parte di gara.
Quelli della seconda erano oggettivamente meno belli, ma sospendo il giudizio visto che ero troppo nauseato per apprezzare le bellezze del bosco ceduo o delle conifere e delle altre fasce vegetazionali incontrate.
Stelvio Ultra Trail da quitter senza medaglia. Porto a casa 66k e 4600d+ e una bella lezione: mai dimenticare l’autosufficienza. Chi fa per sè fa per tre.

#Preambolo
Dal 10 giugno al 6 luglio ho messo dentro quasi 23 mila metri di dislivello positivo. Questa gara voleva essere la ciliegina sulla torta di un periodo di grande carico di lavoro: volevo riuscire a gestire questa ultra in fase “overload” correndo con prudente determinazione.
Negli ultimi giorni ho dormito poco e male, e per incastrare mille impegni e pensieri, sono andato un po’ in sovraccarico, di testa in particolare. E quindi la notte invece che addormentarti, continui a pensare e a rigirarti nel letto. E il recupero va a farsi benedire.
La trasferta in Massif del venerdì è stata resa ancor più faticosa da una frizione mal registrata dal meccanico che ha richiesto un impegno fisico e mentale notevole per non restare in panne. Un piccolo miracolo di guida senza cambio che mi ha fatto arrivare a destino in ritardo e un po’ provato.
A letto più tardi del previsto e con qualche pensiero di troppo. Per carità niente scuse, ma ero al limite e sapevo che non avevo margini … piccoli tasselli di imprevisti ad appesantire il mosaico di fatica e mettere a dura prova il mio delicato equilibrio psico-fisico.

Aspetti positivi:
– percorso e paesaggi bellissimi, a parte gli ultimi 15 km boscosi non proprio eccelsi, ma dopo che hai fatto la punta Tabaretta, cosa esiste di più bello?
– Compagni di viaggio fantastici, che senza dire una sola parola sulla scomodità del Massif e senza manifestare tensione sull’alta probabilità di rimanere a piedi, si sono spupazzati questa fantastica trasferta a Solda. Marco, Nicola e Stefano fantastici!
– Alberto oramai fidato compagno di gara e di allenamenti, nonostante la sua profonda matrice minkia.
–  Piedi perfetti … nessun dolore, unghie integre, vesciche zero, stanco per il malessere ma gambe e testa lucide. Altra Running promosse
– articolazioni e ginocchia perfette, dolori muscolari e crampi = zero!
– facilità di corsa e cambio passo, fino a quando non sono insorti i problemi di nausea

Aspetti negativi:

  • Nausea e malessere intorno alla decima ora di gara che attribuisco alla troppa frutta mangiata al ristoro di metà gara
  • Cuoio capelluto e viso ustionati dal sole nonostante cappello e occhiali indossati sempre
  • Dimenticanze alla partenza (scorte di cibo palatabili, kit medico con biochetasi)
  • Dubbi sulla mia capacità di reggere allo stress e agli imprevisti

#Epilogo:
Non tutte le ciambelle escono con il buco, e il ritiro o la rinuncia, sono sempre opzioni possibili in una prova di ultra endurance.
Tra le volte che mi sono ritrovato “quitter” questa è una di quelle che mi ha “deluso” meno perchè prima di partire sapevo che ero al pelo, cioè avevo caricato talmente tanto che per finire qui avrei dovuto presentarmi al via dopo un buon sonno e un paio di giorni in “eustress”, ovvero di relativa tranquillità soprattutto mentale e senza assilli.
Con tutti i miei allenamenti mirati, pistolotti, integratori di nuova generazione mi ritrovo “ritirato”, i miei compagni di viaggio, che vanno alla garibaldina, finisher e soddisfatti.
Complimenti e siete autorizzati agli sfottò a tempo indeterminato!


Sono ora un po’ preoccupato e non so se bollare il tutto come episodio o come errore nella programmazione atletica. Propenderei per la prima ipotesi, ma solo i fatti mi daranno ragione. Ovvio che dopo un ritiro con problemi di malessere e vomito senza aver spinto (sempre e solo zona 1-2 dicono le frequenze cardiache) qualche crepa si crea nel tuo muro di certezze.
Ora so solo che devo rimanere concentrato e rilassato, perchè in fondo si tratta semplicemente di correre e di allenarmi, che è la cosa che più mi piace fare … speriamo sia così, perchè se invece avessi sbagliato l’impostazione generale non so se sono in tempo per rimodulare il tutto.
Adesso non mi spavento di fronte a un colpo a vuoto, ma di certo vigilerò su me stesso con maggior spirito critico e onestà intellettuale.


Fino al 21 luglio non ho in programma uscite troppo impegnative. E ho quindi 10/12 giorni per riprendermi e allenarmi senza “ammazzarmi” troppo.
Sabato notte, o meglio domenica mattina, dopo 3 ore di guida prima in 3a marcia fissa in discesa, 4a marcia fino a Bolzano e finalmente 6a marcia in autostrada (e non vi racconto come sono riuscito a fare manovra nel parcheggio visto che la retromarcia non entrava nemmeno con le martellate).
Giunto ad Affi, miracolosamente, la frizione ha iniziato a lavorare normalmente (dopo 400 km a pompare inutilmente sul pedale) e alle 2 ero a casa. A letto alle 2.30. Sveglia alle 5.45 via in auto a Verona per prendere il treno per Napoli dove sono arrivato alle 11.52. 12.10 coincidenza con Circumvesuviana per Sorrento e ricongiungimento famigliare. H 14.00 picnic a Monte Faito dove mi sono abbuffato e poi mi sono addormentato sotto i castagni.
Sera: grigliata di salamelle … e poi a letto con Beniamino per 10 ore filate di sonno. Lunedì mattina spiaggia.
Lunedì pomeriggio h 13.10 circumvesuviana per Napoli Centrale e treno per Verona dove arrivo alle 19.30. Alle 20.30 sono a Garda. Check in concordato con 4 clienti e si torna al lavoro.
Martedì uscita facile con ottime sensazioni
Mercoledì lungo di 5h in solitudine con 2300 d+ su sentieristica difficile per togliermi di dosso le paure e capire se ci sono ancora o se sono bollito. E’ andata bene, pimpante, concentrato, deciso, veloce, soprattutto in discesa.
Allora è stato un episodio, cose che capitano quando chiedi troppo non tanto al tuo fisico ma alla tua testa. E se salta la centralina, salta tutto il resto.
Adesso per qualche giorno solo allenamenti brevi e di rifinitura. Poi rinnovo idoneità agonistica appena scaduta (speriamo bene), un paio di giorni ancora leggeri e si va con l’ultimo ciclo di carico per arrivare alla fine del blocco “montagnard” con 50000 metri di dislivello positivo. Ce la faremo? Dai dai … concentrazione, è tutta una questione di concentrazione.
#Un’ultima cosa: devo credere di più a quello che faccio e non ascoltare i fiumi di parole che mi girano intorno, perchè se ci metto dentro anche quello che mi dicono di fare gli altri, vado in overload e perdo le trebisonda.
E quando salta la testa, cominci a recriminare e smetti di pensare … e se smetti di pensare muori. E ridaje con le citazioni cinematografiche di ‘sto cazzo di film con Anthon  Hopkins intitolato “Urlo dell’Odio”

Sapete, una volta ho letto un libro interessante: diceva che la maggior parte delle persone che si perdono nei boschi muore. Muore per la vergogna. Sì, muore per la vergogna: «Che cosa ho sbagliato, come ho potuto cacciarmi in questa situazione?»… e così se ne restano lì e muoiono. Perché non hanno fatto la sola cosa che avrebbe salvato loro la vita: pensare (Charles)

#metabolicamente: lascio parlare i due specchietti piuttosto esaustivi. Come sempre i problemi sono nel pre e dopo gara da un punto di vista del profilo glicemico. In gara ho rispettato il range 70-180 senza picchi nonostante le integrazioni regolari e abbondanti.
La lieve tendenza ipoglicemica del finale (74 mg/dl) è da ricondurre all’inappetenza conseguente a nausea e malessere. Partito da Ponte allo Stelvio ho integrato con un gel da 22 gr di cho. Tuttavia due ore e 1100+ di dislivello richiedevano integrazioni maggiori, ma non ce la facevo a ingerire nulla. Ho pertanto scelto di integrare il minimo necessario per avere il carburante e i livelli di zuccheri sufficienti. Sono arrivato un po’ al pelo. Ma ero lucido, tant’è che ho scelto di shiftare l’iniezione basale di qualche ora. Quando non stai bene, e non sai se sarai in grado di mandare giù qualcosa, è bene mettersi in modalità “difensiva” e dimenticare la performance. Anche se nauseato e inappetente, ero sul pezzo dal punto di vista del mio diabete di tipo 1.

MI spiace che i miei compagni di viaggio a volte siano preoccupati delle “mie cose” quando il problema non erano le mie cose (leggi diabete di tipo 1) ma lo stomaco. Ma va bene così. Loro sono giustificati. Io comunque ce l’ho messa tutta per fare la sola cosa che mi avrebbe permesso di non mettermi nei guai: mai smettere di pensare!

[… sito ufficiale della gara…]