DOWN BY APPS 2020
Cronaca di un cicloviaggio da Garda a Sorrento per strade poco battute
by Cristian Agnoli
Intro
Quest’anno doveva essere il mio ritorno ai “grandi viaggi” in bici. Ci ha pensato la pandemia a cancellare tutta la programmazione: niente fuga da Capo Nord che prevedeva la ridiscesa lungo la Eurovelo 1 da Nordkapp fino ad Amburgo.
A giugno, visto la carenza di turisti teutonici sulle sponde del Garda, ho spedito la famiglia in vacanza a Sorrento dai nonni e gli ho detto: io arrivo in bici e poi facciamo un po’ di mare assieme. Così nasce questo Down by Apps (dove Apps sta per Appennines in inglese) in modalità post covid 19.
Una tratta non nuova per me. Italia centrale e Appennini sono già state numerose volte mete di lunghi e corti giretti in bici, estivi e invernali.
Ho però disegnato un percorso che mi consentisse di raggiungere alcuni punti iconici per me inediti, senza ripercorrere strade già solcate nei viaggi del passato.
I miei quattro personalissimi waypoint, o conquiste dell’inutile, erano:
il Passo di Pradarena, il Monte Amiata, i Monti Lepini, il Parco Regionale del Partenio.
Dopo anni di viaggi in bici in autunno o inverno, torno a pedalare in estate, con caldo e tante ore di luce. Nel nome degli Appennini, in sella alla mia Cannondale Slate, pronto a percorrere da Nord a Sud l’Italia del dopo lockdown.
Per strade minori, mappe alla mano, con ausilio al bisogno di google maps e gps cartografico: un mix di improvvisazione e fiuto per la via migliore, senza pianificare troppo, ma confidando in quell’istinto che ti consente di infilarti per la provinciale o comunale che alla fine si rivela più bella e ti consente di godere di paesaggi e situazioni incantevoli o nuove, in modalità slow: sì perchè con la bici bella “pesa” la velocità media è di 15/16 kmh quando ogni tappa prevede dai 1500 ai 3000 metri di dislivello.
Altro punto fermo di questa mini vacanza il campeggio e l’autosufficienza: una zuppa calda o una tazza di caffè preparati con il tuo fornelletto a gas, seduto su un prato ad ammirare il tramonto non hanno prezzo. Così come il risveglio all’alba nella tendina.
Alla fine sono queste le ragioni per cui parto per un viaggio in bici: soddisfare bisogni basici in maniera non convenzionale!
Ovviamente è un viaggio di piacere autofinanziato con i miei risparmi personali, però siccome oggi va di moda metto un po’ di ashtag incondizionati a cazzo:
#bikepacking #cycling #unsustained #ortlieb #cannondale #thule #cotopaxi #phapparel #cafèducycliste #wildcamp #appennini #gravel #coleman #fornelletto #zuppa #suppagiuseppina #tarzanelli #sonyxperia #hokaoneone #rapha #altolivello #unlocked #dynafit #assos #shimanoultegra #type1diabetes
T1 | venerdì 12 giugno | Garda > Porta delle Due Valli | 178k 1500+
Dal Lago alla Sparavalle
Splende il sole. Sveglia comoda. Bici pronta. Attendo solo il risveglio dei bambini prima di partire. Il saluto è d’obbligo.
Alle 8.30 precise precise salgo in sella del mio cavallo di alluminio e mi avvio verso sud. Nelle orecchie e nel cuore i saluti affettuosi della famiglia.
Gardesana Orientale fino a Peschiera, poi Colline Moreniche del Basso Garda e infine pianura mantovana.
Gamba tonica, vento a favore. Si viaggia che è una favola.
Alcuni rumorini provenienti dal freno a disco anteriore mi confermano che sarebbe stato opportuno un piccolo tagliando prima della partenza.
Sempre su strade minori a poco traffico attraverso il fiume Oglio sul ponte di barche che unisce Bereguardo e Torre d’Oglio.
Successivamente attraversamento del fiume Po’, questa volta su viadotto decisamente meno suggestivo così come i successivi trenta km tra le province di Parma e Reggio Emilia fino a innestarmi nella Val d’Enza.
Provvidenziali pause con birretta e rifornimenti idrici nelle ore centrali della giornata.
Da metà pomeriggio termina la fase pianeggiante della tappa e comincia la lunga ascensione alle porte dell’Appennino.
Le prime salite necessitano di un po’ di adattamento.
A Vetto una bella radler con Stefano, ciclista che ha condiviso con me un breve tratto di salita.
Non ho una meta prefissata se non arrivare a Castelnuovo ne’ Monti, fare un po’ di spesa in un negozietto, e poi trovare un luogo adatto al campeggio libero nel cuore del Parco Regionale Tosco Emiliano lungo la via Sparavalle.
Risalendo verso il passo del Cerreto arrivo alla Porta delle Due Valli, punto di ingresso alle vette appenniniche, spartiacque tra val Secchia e Val D’Enza e luogo dalle viste spettacolari.
Sono quasi le otto di sera. Una piazzola erbosa, un cannocchiale con cui ammirare le vette circostanti tra cui spicca la caratteristica Pietra di Bismantova.
Se ci aggiungiamo un tavolo con panche, cestini e tabella descrittiva dei luoghi … cosa chiedere di più?
Poco meno di 180 km nelle gambe e poco più di 1500 mt di dislivello. Come prologo può bastare.
Con più facilità del solito ritrovo gli automatismi del cicloviaggiatore, la pazienza nell’aprire, montare, smontare, piegare, ripiegare, picchetti, panni, stendere, asciugare … un’infinita serie di gesti che costituiscono il vero patrimonio di confidenza del viaggio in bici in tenda.
Sembrano sciocchezze, ma per restare nella zona comfort è fondamentale non rompere mai il delicato equilibrio tra stanchezza, concentrazione, esplorazione, introspezione, avventura e curiosità che sono il vero “succo” di questo tipo di esperienze.
Accendo i fornelli. Zuppa di verdure, pane, una Moretti familiare ghiacciata da 66 cc, acqua, dolcino e caffè.
Verso le 22 riparo nella mia tenda superleggera da 1.4 kg ma da 4000 colonne d’acqua: un piccolo gioiellino del brand NatureHike, forse il miglior produttore di tende superleggere per rapporto qualità prezzo.
Non sono esente comunque da piccoli imprevisti del campeggiatore libero: il lampione che illumina la zona a una trentina di metri è guasto e continua a lampeggiare e a flasharmi negli occhi. Rimedio coprendomi con una mascherina e gli occhiali da sole.
Fin qui tutto bene. Peccato che dalle 22.30 fino a dopo la mezzanotte un gruppo di ragazzotti locali cannaioli – casinisti – bestemmiatori sceglie il tavolino a pochi metri dalla mia tenda per fare un piccolo festino tra urla, parolacce, schiamazzi e sgommate con auto e moto. Accovacciato nella mia tenda, metto gli auricolari e mi ascolto un podcast della Zanzara … verso l’una di notte torna il silenzio, dopo un ultimo testa coda con freno a mano nel piazzale.
Cinque ore fila di sonno in profondissima quiete ora non me le toglie più nessuno.Sparavalle, buona la prima!
T2 | sabato 13 giugno | Porta Delle Due Valli > Volterra 194k 2200+
Dagli Appennini all’Etruria
Un’alba meravigliosa a mille metri di quota con splendido panorama a 360 gradi in posizione esclusiva a costo zero.
Avrei preferito qualche ora di riposo in più, ma una buona tazza di caffè caldo mi toglie il torpore di dosso.
Con pazienza e gesti misurati tutto finisce ripiegato e posizionato nel posto giusto.
La brezza accelera l’asciugatura della tenda: il monotelo ha il vantaggio della leggerezza, ma un po’ di condensa è inevitabile.
Mi muovo in direzione del passo del Cerreto per poi svoltare a sinistra seguendo le indicazioni al passo di Pradarena, primo waypoint iconico obbligatorio di questo mio viaggio.
Faccio il pieno d’acqua prima della discesa che mi porta a seicento metri di quota. Da qui si riprende a salire. Scorta panini a quota mille in quel di Ligonchio.
La salita si rivela più dura del previsto con 4 km veramente tosti sempre sopra il 10%, in particolare nel tratto di Ospitaletto.
Il finale invece è più dolce e mi consente un arrivo rilassato ai 1587 metri del passo più alto dell’appennino settentrionale.
Al bar-rifugio Carpediem una bella Ichnusa alla spina …. Però piccola!
Mascherina, igienizzante … la procedura è quella ovunque.
Sconfinamento in Toscana ed è subito Garfagnana.
La giornata è soleggiata, ma il mio giubbino Dynafit in shakedry è provvidenziale.
In salita orde di ciclisti si sfidano sul versante toscano in cerca di record e prestazione.
Giunto in vallata, il paesaggio è meno suggestivo. Castelnuovo di Garfagnana, Borgo a Marzaro e altri paesotti che non suscitano in me emozioni particolari.
Punto a sud ma non ci sono alternative e tra Altopascio e Pontedera si susseguono abitati anonimi e trafficati. Riesco a percorrere brevi tratti sterrati della “via francigena sud” ma visto che l’avvicinarsi di una perturbazione riprendo l’asfalto e mi dirigo verso Volterra dove appuro che il campeggio Le Balze sia aperto.
Stasera vista la pioggia prevista, meglio investire 15 euro per sfruttare i servizi della struttura ricettiva.
Spesa alla coop di Peccioli e via prima che le nuvole minacciose si tramutino in temporale.
Pioggia che arriva, e torrenziale, in particolare nei 6 km finali che con pendenze pedalabili portano ai 600 e più metri di quota di Volterra. Scalata memorabile che, nonostante la stanchezza per le tante ore in sella (12), dislivello (2500) e chilometri (190 e più), affronto pimpante e lucido.
Grazie al mio guscio Dynafit e ai pantaloni Assos la pioggia mi fa un baffo. Peccato non aver messo i copriscarpe …. Alla fine piedi fradici.
Self check-in. Camping deserto. Un camper e un paio di tende in lontananza.
Prima tappa allo stabile dei servizi sanitari, dove entro con bici e bagagli nel bagno per i disabili. Al calduccio e riparato mi cambio, mi lavo, sistemo armi e bagagli prima di pensare al dove piazzare la tenda.
Per facilitare le operazione di carico-scarico con un pennarello Uniposca ho scritto sulle borse ortlieb le cose principali che tengo in ognuna così da individuare con prontezza quello di cui ho bisogno anche in momenti di stanchezza e scarsa lucidità.
Lindo e asciutto, indosso il mio kit “outdoor” estratto prontamente dalla borsa contrassegnata: pantalone in goretex, maglia merinos manica corta, felpa leggera con cappuccio, copricapo caldo e giubbino goretex Rapha al bisogno … e stasera ce n’era bisogno.
Perlustro la zona bar/reception. Tutto chiuso ma ci sono sedie e tavolini riparati per la cena con prese elettriche atti a ricaricare telefonici e supporti tecnologici vari. Sarà questa la mia base vita per la serata.
Una parete di roccia giusto dietro il bar nasconde una grotta che con mia sorpresa è completamente asciutta e riparata dalla pioggia scrosciante. Non esito un attimo e ci piazzo la tenda. Peraltro il fondo è morbido e sabbioso. “The art of placing a tent” … sono orgoglioso di me! Piccole soddisfazioni di un ciclovacanziere solitario sotto la pioggia.
Il posizionamento della tenda è la mia priorità in questa vacanza. Quando pedalo, tra i mille pensieri, quello che più mi intrippa è pensare al luogo ideale per campeggiare per poi immortalarlo in una foto: si chiama #camp-porn.
Etruria raggiunta. Per un attimo la pioggia concede una tregua e mi godo la vista sui monumenti illuminati della bella cittadina toscana.
Poi è il momento di pensare alla cena.
Solo soletto prendo possesso della veranda e mi godo la mia seconda cena a base di … zuppa.
Piccoli gesti, lo ripeto, un rituale laico per soddisfare bisogni primari ma anche spirituali.
La pancia e il palato sono soddisfatti. La lampada frontale per consultare le mappe, il bollettino meteo. Domani si dovrà improvvisare, sperando che il tempo si rimetta a posto.
Il crooner degli anni ‘90 Harry Connick jr in sottofondo … con “I’ve got a great idea” grazie a Spotify e ai 70 gb mensili di Ho.
“My idea is not good for three, my idea is you and me!” Canticchio felice tra me e me. Forse qualcuno in lontananza mi ascolta e ridacchia della mia banale felicità.
Il mio piccolo regno è qui … e io sono il principe quarantottenne più felice del mondo. Ci vuole veramente poco!
T3 | domenica 14 giugno | Volterra > Cinigiano 123 k 1700+
Maremma Unlocked
Grazie al morbido fondo sabbioso della grotta di Volterra e al fantastico materassino autogonfiante Therm’a rest, dormo profondissimamente e mi sveglio riposato nonostante scrosci e temporali notturni non abbiano concesso tregua.
La tenda è asciutta esternamente. Condensa a parte, solo un po’ di fango sull’abside esterna, colato dalla falesia.
La pioggia impazza. Impossibile pensare di ripartire.
Mi piazzo sotto la veranda mentre il gestore del campeggio apre il bar. Profumo di croissant caldi.
Scelto quello integrale ai frutti di bosco. Oggi mi concedo quindi la classica colazione all’italiana: cappuccino e cornetto. Niente fase “fasting”.
Approfitto per prendere appunti, telefonare a casa, scrutare il cielo e valutare un paio di opzioni di percorso in base alle condizioni metereologiche e alla gamba. E per scambiare due chiacchiere con gli altri quattro ospiti del campeggio sbucati fuori solo dopo le nove dalle loro tende. Tutti campeggiatori da fase Covid.
Confido nel miglioramento del meteo che puntualmente si verifica intorno alle 11.
Alla comparsa dei primi raggi del sole la bici è già pronta a pieno carico
Aspetto giusto una mezzoretta per dare il tempo alla tenda appesa di asciugarsi per bene.
Alle 11.35 sono in sella, mi fermo al primo negozietto di alimentari, faccio scorte inclusa la zuppa per la sera e mi metto a pedalare per questa semitappa che dovrà condurmi ai piedi del monte Amiata, la cui conquista però è rinviata all’indomani visto il ritardo maturato.
Scelgo di percorrere la Maremma pisana e poi grossetana, ma quella meno nota, che passa per vie interne. Casole d’Elsa, le colline Metalliffere, saliscendi verso Roccastrada immersi nel verde e nella campagna a traffico zero.
Salite mai troppo lunghe, ma anche oggi il dislivello non si fa mancare.
Il tempo migliora inesorabilmente e dunque con la testa sono già in modalità campeggio selvaggio.
Via Sacco d’Ombrone risalgo la strada del vino Montecucco in direzione Monticello Amiata, giusto per portarmi un po’ in quota.
Giornata bellissima. Campi sfalciati di fresco, balle di fieno. Campagna toscana al top.
Individuo un uliveto fantastico, su collinetta panoramica, lontana da occhi indiscreti.
Ho tutto il necessario con me: 3 litri di acqua, birretta, pane, zuppa, formaggio.
Preparo anche una zona per accendere il fuoco ma non è necessario.
Lavaggio alla come riesce con salviette e un po’ di acqua dalla bottiglia. Cambio d’abito e mi sento fresco come una rosa.
Tenda montata, zuppa a scaldare, birretta in mano e sguardo fisso e incantato verso l’orizzonte.
Anche oggi mi sono regalato la mia fetta di felicità dopo soli 124 km e 1700d+.
Qualche messaggino whatsapp, la videochiamata alla famiglia, scorrere le foto del giorno.
Sfruttare powerbank e caricabatteria solare per rigenerare la tecnologia al seguito e aspettare il tramonto prima di infilarsi in tenda.
Il terreno è lievemente inclinato nel punto in cui mi sono sistemato. La notte continuerò a scivolare sul fondo. Piccolo errore di valutazione che non ha pregiudicato troppo la qualità del sonno.
Grugniti di cinghiali e altri animali mi allertano un paio di volte nel cuore della notte. Niente paura. Nella mia tendina mi sento al sicuro, chiudo gli occhi e vengo svegliato solo dalle luci dell’alba pronto per una nuova giornata sui pedali.
T4 lunedì 15 giugno | Cinigiano > Viterbo 134k 2200+
Amiata Up & Down
Risveglio magico. Cielo azzurro. Caffè pronto.
Procedure di carico un po’ più lente del solito. Una cosa alla volta. Lo zen e l’arte del packaging.
Sei chilometri di salita fino a Monticello Amiata dove sfrutto pasticceria e negozio di alimentari per fare, rispettivamente, colazione e spesa.
Ora su terreno più scorrevole fino ad Arcigrosso dove viro in direzione Santa Flora e Aiole e così iniziare la dura e lunga scalata per la direttissima all’Amiata.
Salita veramente tosta nei primi sette chilometri, per fortuna in buona parte all’ombra nel bosco. Nei tratti più ripidi sfrutto tutta la carreggiata zigzagando per mantenere la pedalata rotonda ed evitare di alzarmi sui pedali, cosa cui sono comunuqe costretto di tanto in tanto per rilanciare.
Con la bici a pieno carico, i rapporti non bastano mai. La gamba è buona e il finale, più dolce, mi è lieve.
Giungo al bar di vetta (del passo stradale perchè quello della montagna è 100 metri circa più in su) e mi godo una birra e un paninazzo. Secondo waypoint conquistato.
La velocissima e freddissima discesa richiede assetto invernale ma giunto a Abbadia San Salvatore è di nuovo estate.
Dalla Maremma alla Val d’Orcia. Si scende ancora via Piancastagnaio e arrivo sulla statale Cassia nella valle del fiume Paglia. Ad Acquapendente il caldo si fa sentire.
Per rifornirmi di liquidi sfrutto i distributori di acqua gassata a 15 centesimi per un litro e mezzo. Che goduria! Acqua pizzicante e fresca nelle borracce.
Ritrovo la via Francigena che alterno alla Via Cassia per entrare nella regione Lazio.
Costeggio il lago di Bolsena. Fortunatamente poco traffico con belle viste sulle piatte acque. Meno felici gli operatori turistici: alberghi chiusi, campeggi deserti.
Il cielo si fa sempre più grigio e la pioggia cade improvvisa, a tratti copiosa. Ben riparato sotto una tettoia mi metto in assetto waterproof ma al momento di ripartire rispunta il sole e mi tocca ritogliere tutto.
La meta di oggi dovrebbe essere il lago di Vico, ma le previsioni meteo sono pessime.
Mentre arrivo a Viterbo per brutta e trafficata statale, becco un altro acquazzone. Questa volta trovo riparo al … Mc Donalds.
Telefono in carica, una sprite con ghiaccio. Mappe e smartphone alla mano comincio a studiare il terreno per capire dove e come passare la notte. Escludo il lago di Vico e l’opzione campeggio libero, ma individuo a pochi chilometri l’agricampeggio Paliano. Telefono per appurarne l’apertura, mi fermo in un supermercatino per la spesa e raggiungo la bella struttura en plein air dove sono accolto con termoscanner, mascherina e ogni altro dispositivo post Covid 19. Il tutto per 15 euro.
Proprio mentre installo la tenda, una bomba d’acqua colpisce la zona. Riesco a finire e mettermi al riparo giusto in tempo.
A seguire doccia bollente e asciugatura materiale vario con occupazione dei bagni. I tanti camper parcheggiati sono vuoti.
Solo una coppietta a distanza di sicurezza e la mia tendina che dimostra una incredibile tenuta all’acqua. Davvero incredibile per una tenda monotelo ultralight.
Il cielo si rasserena. Recupero una sedia di plastica e qualche cassetta a mo’ di tavolino e consumo una cenetta “just me myself & I” indimenticabile … e con l’immancabile birretta fresca!
T5 | martedì 16 giugno | Viterbo – Carpineto Romano | 180k 2800+
Alla scoperta dei Monti Lepini
La mattina ha l’oro in bocca specie se il cielo è azzurro e l’aria è frizzante
Per breve sterrato lascio l’agricampeggio di Viterbo e percorrendo strade minori raggiungo San Martino al Cimino dopo aver superato brevi ma ripide salitelle. Anche l’uscita sulla provinciale SP 80 include nel pacchetto strappi al 15% e più prima di ritrovare la Cassia, ma solo per un breve tratto, e percorrere la bellissima e plurisecolare faggetta dei Monti Cimini, catena montuosa antiappenninica. Numerosi i cercatori di funghi con i loro cestelli di vimini.
Scollino poco sopra i 700 metri di quota. La tappa si fa più scorrevole nella campagna romana che almeno fino a Civitacastellana è davvero piacevole e ben tenuta.
Visto il poco traffico percorro addirittura qualche chilometro della Via Appia fino a virare in direzione Monterotondo. Qui le strade si fanno brutte e trafficate. Riesco a regalarmi qualche bello scorcio tipo la salita a Castelchiodato, ma i paesaggi sono in prevalenza orribili così come il caldo che si fa opprimente. Il colpo di grazia sono i rifiuti a bordo strada, il segno più autentico del decadimento del belpaese.
Altro che bidet, la cura del bordo strada, l’assenza di rifiuti e la presenza di sale civiche polivalenti sono il vero indice di civiltà di un paese. E la Francia in questo ci insegna. Strade curatissime e sale polivalenti attrezzate in ogni minuscolo paesino.
Invece noi Italiani pensiamo che basti lavarsi il culo, curare le sopracciglia e andare in giro ben pettinati a ritmo del tormentone del momento. E non mi uccidete il mood dai! Bella atmosfera! Yeh yeh yeh yeh yeh.
Chi se ne frega dei tuoi ma dei tuoi se dei tuoi bla bla voglio vivere in Good times
Raga, Meglio i tarzanelli al culo! Fidatevi!
Perdonate il piccolo sfogo qualunquista sulla mediocrità italica.
Per compensare caldo e Italia imbruttita, faccio un paio di pausette: sosta gelato a Guidonia e break birretta poco prima di Palestrina. Qui consulto le mappe e fisso la mia meta di arrivo. E la birretta fresca aiuta sempre a fare la scelta giusta!
Terzo waypoint iconico sono i Monti Lepini e precisamente Carpineto Romano ai piedi del monte Semprevisa, tanto caro ai tanti fan dello sfortunato alpinista Nardi. Fisso dunque qui il mio arrivo odierno inderogabile.
Casualmente scovo la presenza di un agricampeggio e ne resto folgorato. Google maps lo da aperto. La destinazione è fissata poi vedremo se sfruttare la struttura ricettiva o riattivare l’opzione “wild camp”.
Il cielo si fa nuvoloso tra le cime delle montagne. Giunto a Colleferro con la spesa già fatta devo ora affrontare i 22 km di salita. Mangiucchiando un pacchetto di Oro Saiwa attacco la salita con insospettata verve. Borracce piene, acqua frizzante e via.
Intanto telefono al campeggio e con sorpresa il titolare mi conferma che se arrivo per le 20.30 trovo pure l’acqua calda per la doccia perchè mi accende il boiler.
Rinfrancato e motivato a mille, pedalo agile sulle facili pendenze che portano a Carpineto Romano dove giungo con largo anticipo. Gli ultimi tre chilometri, Via Rerum Novarum, sono invece assai più cattivi con pendenze severe. Ma le gambe “frullano” e arrivo brillante a destinazione. In questo tratto più volte enormi cinghialoni attraversano indefessi la rotabile.
L’“Agrifoglio del Ciroletto” a quota 850 m è un paradiso verde immerso in un castagneto. Ettore e Paolo mi accolgono come un piccolo principe e mi lasciano le chiavi per aprire e chiude il lucchetto del cancello l’indomani alla mia partenza.
Location paradisiaca. Doccia bollente. Piazzo la tenda strategicamente appena fuori la tettoia in legno della reception così da poter godere di un comodo tavolo in legno con panche riparato dall’umidità notturna e illuminato. I vantaggi di essere l’unico ospite.
Altra cenetta fai da te indimenticabile prendendo appunti, chiamando a casa e whatsappando con gli amici.
Prima di andare a dormire tutto in ordine pulito e lavato e un’occhiatina alle mappe per capire quale via seguire sempre nel nome degli Appennini dimenticati.
Monti Lepini … conquistati!
T6 | mercoledì 18 giugno | Carpineto Romano – Pontelatone | 171k 1900+
Casertano “en plein air”
Notte meravigliosa e il risveglio ancor più. Cielo terso, aria frizzante. Col sonno sono andato un po’ lungo. Sono già le 7.30 quando esco dalla mia cuccia.
Con calma smonto la tenda e la stendo ad asciugare.
Alla fine un’ora ci vuole tutta per ripartire senza stress. Incluso qualche esercizietto per la schiena.
Esco dal campeggio solo per le 8.30.
Discesa a Carpineto, breve risalita fino al passo Cona di Selvapiana quota 695 e lunga picchiata verso la pianura tra Volsci e Ciociaria.
Scendo con prudenza verificando l’efficienza del sistema frenante e la stabilità dei bagagli. Ho dovuto infatti riparare il portapacchi posteriore che mostrava segni di cedimento.
Dalla montagna alla campagna.
Ad Amaseno, mascherina indossata e faccio la spesa prediligendo i piccoli negozi di alimentari di paese.
Non ho ben chiaro dove mi porteranno le gambe oggi, ma l’obiettivo è avvicinarmi quanto più al parco regionale del Partenio per consentirmi domani di arrivare a destino con un giorno di anticipo e così riabbracciare la famiglia.
Durante le piccole pause verifico la presenza di aree campeggio papabili anche se le condizioni meteo sono favorevoli al campeggio “selvaggio”.
Dopo divertenti stradelle secondarie ciociare, una in particolare contrassegnata dal cartello “Sherwood forest” giungo a Pontecorvo e da qui a San Giorgio di Liri. Mi innesto dunquenella Casilina poco a sud di Cassino. Strada che volevo evitare ma fortunatamente meno incasinata del previsto. Percorro una ventina di chilometri fino a Vairano Scalo per addentrarmi nelle catene montuose minori del casertano.
L’unico agriturismo con campeggio in quel di Pontelatone è sfortunatamente ancora chiuso, ma decido di fissare in quella zona il mio fine tappa odierno. Qualcosa mi inventerò.
Sulla mappa individuo un tragitto alternativo alla facile piana del Volturno e opto per risalire i costone del Monte Maggiore per la rotabile che da Pietramelara porta al villaggio di Rocchetta e Croce.
Con mia grande sorpresa trattasi di salita dalle pendenze proibitive su strada pressochè abbandonata, senza manutenzione alcuna, cosparsa di rifiuti ovunque, vegetazione invasiva con frane e smottamenti. Unico sollievo la brezza e l’ombra. Oramai la sfida è accettata e spingo con regolarita per guadagnare dislivello.
Scopro anche che la quota di Rocchetta e Croce, 465 metri, non è il punto più alto. La strada infatti arriva fino a 700 metri prima di svalicare.
Un gruppo di ciclisti, saliti da un altro versante, mi raggiunge nel tratto finale e mi incoraggia segnalandomi che mancano pochi metri allo scollinamento. In discesa li supero senza guardarmi indietro e non li rivedrò più.
Giunto a Formicola comincio a mettermi in modalità “camping sauvage” cercando di capire se la zona è adatta. Nel frattempo raggiungo l’abitato di Pontelatone.
Faccio un ultimo tentativo con l’agricampeggio locale ma il titolare è inamovibile. Non si fida in tempo di covid-19 a far piazzare tende abusive.
La campagna qui è ben tenuta e ordinata e viene proprio voglia di passarci “‘a nuttata”
Pedalo ora con l’occhio dell’esploratore alla ricerca di un bel posto dove accamparsi. Una bella sfida nel casertano antropizzato.
Sulla destra un filare di uliveti dal prato appena sfalciato attira la mia attenzione. Si addentra dritto dritto per quasi 500 metri immerso nel nulla. Le case più vicine sono distantissime e siamo fuori dal paese.
Mi guardo circospetto. Non arrivano auto. Nessuno in giro. Entro nel campo e nascosto tra gli ulivi risalgo fino al punto più lontano e protetto dalla strada.
Parcheggio la bici, stendo armi e bagagli e preparo la tenda con la paletteria.
Sono le 20.00. Gli ultimi trattori fanno rientro alle cascine. Muggiti dalle stalle.
Il posto sembra perfetto e mi godo una cenetta con vista fantastica sul Vesuvio.
Ennesimo momento memorabile.
Qualche cane abbaia in lontananza a protezione delle proprietà private. Il sole va a riposare e all’imbrunire completo il montaggio della tenda. Una tisana calda e mi infilo nel sacco a pelo. Un ultimo sguardo alle mappe e qualche proiezione sui km da percorrere domani … la tappa più lunga che dovrebbe portarmi al capolinea. La stanchezza si fa sentire. Anche oggi non si è scherzato. Le palpebre si fanno pesanti. Pochi minuti e sarà profondissima quiete.
T7 | giovedì 18 giugno | Pontelatone > Piano di Sorrento | 202 km 3400d+
Partenio Crossing
Puntata la sveglia alle 5 e 30, sono in sella per le 6.30. Quei fondamentali 60 minuti necessari a preparare tutto con calma, non dimenticare nulla e lasciare i luoghi occupati intatti se non ancora migliori di come li hai trovati.
Goodbye Pontelatone!
Oggi pedalerò fino ad esaurimento. L’arrivo a casa mi consente di sforare ogni cancello orario e la potente lampada frontale del mio casco cinese acquistato su Amazon a 40 euro di pedalare di notte in tutta sicurezza.
Il Casertano non si distingue per ordine e pulizia, ma percorso di buon’ora per lo meno è poco trafficato. No comment sui rifiuti a bordo strada.
Dopo quasi due ore di movimento a digiuno, sosto al bar alimentari di Suppa Giuseppina in località Contrada Sanquinito dove per la cifra di 5 euro e 10 centesimi acquisto: caffè, bottiglia di acqua frizzante da 1,5 lt, filoncino al formaggio Brigante, filoncino al prosciutto crudo. Custodisco gelosamente il documento commerciale come memoria storica.
Rigenerato affronto il primo breve e facile gpm della giornata: il Sant’Agata dei Goti – Moiano dove incrocio parecchi ciclisti. Prova della gamba prima dei tanti metri di dislivello che ancora mi attendono in questa lunghissima giornata sui pedali.
In scorrevolezza raggiungo San Martino Valle Caudia da dove seguirò l’Antica Via del Partenio che risalendo l’omonimo parco regionale e le vette dei Monti d’Avenia dovrebbe portarmi al santuario di Monte Vergine. Un itinerario su vie dimenticate e poco battute, che potrebbe riservare sorprese.
Grazie all’incontro con un operaio manutentore locale vengo precisamente informato su presenza fontane, stato del manto stradale e quote da raggiungere. Strada chiusa per frane e lavori, ma in bici si passa. Prima fontana a quota 700 metri e poi si arriva fino a 1400. Informazioni precise precise che mi saranno molto utili perchè almeno un paio di volte mi sono chiesto se la strada portasse da qualche parte o finisse in un burrone.
Esperienza fantastica. Un territorio con potenzialità infinite purtroppo lasciato in uno stato di pressochè totale abbandono. Le sorgenti di Mafariello sono fresche e buonissime e le mie borracce ringraziano, ma rifiuti (mascherine incluse) sono ovunque. Poi la strada prosegue tra buche, sbarre, segnaletica di strada chiusa, lavori in corso, ordinanze di dieci anni prima, sassi e frane, su tornanti a tratti ripidissimi che richiedono l’utilizzo di tutti i rapporti a disposizione e una buona dose di fatica e perseveranza.
Quasi trenta chilometri nel nulla. Ma qui per lo meno il bordo strada è messo bene, meglio del centro strada, sia per quanto riguarda la percorribilità, sia per quanto riguarda l’assenza di rifiuti.
La seconda parte è decisamente più pedalabile per le pendenze, ma la strada è un cantiere continuo tra fango e sterrato. Qui la mia Slate ammortizzata e gommata a puntino dà il meglio di sé.
Nel finale si aprono praterie e radure spettacolari in uscita dai boschi. Un ultimo strappo fino ai 1400 del Monte Vergine prima di scendere per ripidi tornantini all’omonimo santuario. Tutto chiuso, il Covid-19 non perdona!
Parco del Partenio, quarto e ultimo waypoint, conquistato!
La discesa sul versante avellinese è un susseguirsi di tornanti su strada ampia e dal fondo perfetto. Picchiata divertente e panoramica.
A Monteforte Iripino mi concedo una pausa prima di affrontare il facile segmento delle Breccelle per Forino, così chiamata come mi spiega un simpatico ciclista casualmente incontrato.
Con più di 2500 metri di dislivello già accumulati, è tempo di raggiungere la costiera amalfitana per poi ritrovare la strada per Piano di Sorrento.
Non mi voglio far mancare nulla, e digeriti abbastanza velocemente i quindici chilometri urbanizzati in zona Nocera Inferiore, attacco la bellissima ascesa al Valico di Chiunzi che con i suoi 654 metri di quota è la porta di accesso al mare. Grazie ai rifornimenti di energia compresa acqua frizzante fresca e una bella Coca Cola ghiacciata (sempre thank you Coca Cola Company) salgo agile e felice, rigenerato e fiducioso. Spettacolo. Giù fino a Cesarano e successiva dolce risalita per lanciarsi a tutta velocità verso il livello del mare: Ravello prima e dunque Amalfi.
Ultimi trenta km ondulati. Le energie sono quelle che sono ma conosco bene la strada. A Positano sfrutto un distributore di bevande per darmi la carica per il gpm finale di Colli San Pietro. Tre km che affronto con brillantezza incredibile grazie a zuccheri freschi per i muscoli, spingendo sui pedali e rilanciando. Accendo le luci frontali e posteriori del casco in un mix tra luce e psicadelia.
Scollinamento a tutta, spingendo come lottassi per la vittoria di tappa. E’ già, anche a 48 anni suonati rimaniamo degli inguaribili esaltati sognatori di performance.
Mi lancio in picchiata al buio nonostante le pastiglie del disco anteriore senza più mordente. Pennello le curve con l’aria nelle orecchie. Sono euforico.
Alle 21.30 sono a destino dopo 202 km e 3400 di dislivello positivo accolto da un comitato di accogienza eccezionale. Gli avventori del bar Country di mia suocera che nemmeno capiscono cosa stia succedendo.
La mia compagna e i miei bambini arrivano dopo pochi minuti in auto. Mi erano venuti incontro ma io scendevo talmente veloce che nemmeno li ho visti. Beniamino è in lacrime perchè non mi sono fermato. Cherubina lo consola.
Ecco, due secondi e si torna alla ordinaria vita di un padre di famiglia con bambini piccoli. Lo abbracci, lo consoli e te lo spupazzi un po’. Si parcheggia la bici.
Nonostante la tarda ora, voglio compiere un ultimo gesto “propiziatorio”: anche stasera montare la tenda. Luogo prescelto il giardino di mio suocero dal fondo prativo regolare morbido e curato alla perfezione. Ignoro le titubanze di nonno Mario sul fatto che la tenda possa rovinare il prato e … taac … fatto.
Ecco ora questa mia Down by Apps può dirsi completata e sono pronto al reset. Da modalità ciclovacanziere ultraquarantenne solitario a padre di famiglia in vacanza.
Scaricare, lavare tutto che domani si parte per Marina di Ascea. Spiaggia, bagni, suocera, cognata, figli, nipoti, piantare l’ombrellone, spiantare l’ombrellone, secchielli e palette. Finalmente un po’ di relax. Questa è vita … altro che faticare sui pedali con 20 kg di bagaglio per 1200 km e 16000d+ in 7 giorni.
Eppur sono già pronto per ripartire. Ma ne riparliamo ad ottobre. Adesso mi devo guadagnare la wild card famigliare per l’autunno.
#Pensieri di tipo 1
Come sempre ho raccolto i miei dati metabolici aggregati in uno specchietto.
Senza addentrarmi in speculazioni rindondanti, vado sui punti che considero salienti per quella che è la mia visione attuale del Diabetes Management.
#Carbs
A fronte dell’assunzione di quasi 500 grammi di carboidrati al giorno (tra pasti, integrazioni e defensive eating) rispetto ai 280 gr della mia dieta standard, ho somministrato mediamente 27 unità di insulina al giorno rispetto alle 44 del mio ordinario. Stare sui pedali da 10 a 12 ore al giorno anzichè 90/120 minuti conterà pur qualcosa nel nostro metabolismo: nel mio caso consente di metabolizzare carboidrati sfruttando la sinergia basale / movimento e portando il rapporto insulina carboidrati ai pasti, o meglio al pasto, da 1:10 a 1:20 in pochi giorni. La riduzione del fabbisogno insulinico è in gran parte legata ai boli prandiali mentre la basale è stata ridotta “solo” di un 10/15% rispetto al mio standard.
#TIR
Il time in range dei 7 gg di viaggio, in cui lo ribadisco, ho percorso 1200km e 16000 metri d+ restando sui pedali per più di 70 ore (10 ore al giorno), è il seguente: 77% tra 70 e 180 mg/dl … il 3% sotto 70 mg/dl. Si può far meglio. Certo che sì.
All’uopo, in nome della trasparenza pubblico anche il rapporto AGP dell’app Libreview., una funzione aggiunta da poco piuttosto interessante per aggiustare il tiro e meglio contestualizzare il nostro compenso, spesso giudicato solo in base alla glicata.
L’indice di variabilità ideale sarebbe uguale o inferiore al 36%… il mio è al 38,7% …però considerando che non stavo seduto a casa a trastullarmi e avrò preso non so quante decisioni al giorno, non solo relativamente al diabete (strada, sicurezza, sforzo, paesaggio, luoghi da vedere, socializzazione, acquisti, campeggio etc etc.), mi reputo soddisfatto. In più sono uno sfigato in multiiniettiva 🙂 Insomma mi sono autoassolto!
Un aspetto cui devo prestare più attenzione riguarda l’integrazione nella seconda parte della giornata quando di solito spingo un po’ di più e con i km e la fatica che si accumula avrei dovuto integrare in maniera più corposa, anche in considerazione che faccio la basale a ora di pranzo e pur essendo “degludec” considerata piatta, a mio avviso nelle prime ore dalla somministrazione un po’ di aumentata sensibilità la provoca. In un paio di occasioni integrazioni generose mi avrebbero evitato di riprendere alcune episodiche tendenze ipoglicemiche.
Noi di tipo 1 abbiamo l’innata tendenza ad usare il braccino, sia con l’insulina, sia con le integrazioni … e lo facciamo spesso al momento sbagliato.
#Carbs fueling
Le integrazioni in movimento (fueling ) rappresentano il 60% dell’apporto di carboidrati giornaliero … considerate le ore sui pedali è inevitabile costituire la principale fonte di approvigionamento.
Solo in un paio di occasioni supportate da qualche bolo per evitare i picchi (che durano poco, però sono sempre picchi e si vedono bene nel grafico giornaliero). La media delle assunzioni di carboidrati, inclusa qualche integrazione difensiva, dicono 29 gr di cho pro ora, cioè un quantitativo in linea con i fabbisogni medi di un qualsiasi atleta di endurance e con quanto sperimentato in situazioni simili, anzi forse un po’ di meno.
Teniamo conto che partivo quasi sempre a digiuno (almeno 60 minuti fino a 120 e più) e vi assicuro che alzarsi la mattina, bere un caffè amaro e prima che parti è già passata un’ora e poi pedalare almeno altri 60 minuti prima di mettere qualcosa sotto i denti, solo, senza distrazioni, è una bella prova di tenuta psicologica.
Durante la giornata mi alimentavo con panini “imbuttonati”, barrette, raramente junk food tipo patatine, gel e bevande zuccherate senza soste lunghe e pasti luculliani.
I miei consumi dimostrano un sufficiente equilibrio dei substrati lipidici e glucidici. E’ vero che non spingevo mai al massimo, ma comunque le ore in sella erano tante e con 20 kg di bagaglio in salita è difficile salire in scioltezza come fosse una passeggiata … ovviamente non si tratta di performance spinta, ma ugualmente di sforzo importante.
Defensive eating arginato e controllato, così come le ipoglicemie, sempre e comunque gestite con prontezza e senza farsi trovare impreparato. Il fatto di conoscere i miei fabbisogni “carboidratici” mi consente di sapere quanti zuccheri in varie forme tenere al seguito per tot tempo e al bisogno rifare scorta con un margine di sicurezza in caso di imprevisti, aumentati fabbisogni o difficoltà di reperimento per attraversamento luoghi sperduti.