“ Non si finisce mai di imparare!”.
Queste se vogliamo sono le mie 2 impressioni in sintesi.
Evitando di approfondire la prima, su chiaro ordine del Presidente, passo alla 2° asserzione.

Ho imparato che si può portare a termine COMUNQUE un test di soglia, con glicemie che la letteratura scientifica considera “ipo” pericolose (“Zen” in discesa da 120 a poco sopra 100 e “Matt” addirittura da 66 a 63, nei limiti considerati “IPO” ) o con glicemie “pericolosamente alte” dove le linee guida enunciano: “pericolo, fermo, controlla i chetoni, idratati, fai insulina e aspetta” (vedi Stef che si è fatto il test tra 280 e 302).
Ho imparato che qualche volpone esperto (Mar) non da’ fiducia alle sue papille gustative che gli indicano chiaramente “è dolce… deve contenere CHO semplici” e lui continua a mangiare ad libitum zenzero disidratato, senza curiosare sull’etichetta “valori nutrizionali” che dà ragione alle suddette papille: è vero 80 g di CHO!
Ho imparato che la meticolosità organizzativa “maniacale” dell’ Issimo sono state essenziali per la buona riuscita della complessissima parte sperimentale e che, se la stessa meticolosità dei singoli nella propria gestione glico-insulino-nutrizional-metabolica avesse portato ad avere condizioni più standardizzate (glicemie, boli, correzioni , integrazioni ) alla partenza di test di soglia, prova triathlon e prova a digiuno, i risultati dal punto di vista statistico sarebbero stati più solidi e semplici da elaborare.
Ho imparato dalla prova di triathlon che con la vostra determinazione inarginabile la glicemia vi fa un baffo e più che un corso SID/AMD/Aniad sulla gestione della glicemia, avete bisogno di un corso del “Nic” su come si tiene la direzione in acque libere!
Di ritorno da Roma, congresso nazionale AME, dove si è anche parlato di “Diabete e Sport” e dove ho molto parlato di VOI… confermo:”DNL è un altro Pianeta!”
Come sempre quando si parte per queste avventure visionarie rimaniamo sempre molto stupiti alla conclusione.
Siamo bravi (pacca sulla spalla) ma non lo ammettiamo, tendiamo giustamente ad essere ipercritici e a non sottovalutare nulla.
Credo che questo Camp sia stato davvero una prima grande palestra di lavoro ove testare tutti gli ingranaggi, da affinare nei dettagli ma con assenza di intoppi rilevanti.
Riporto le mie critiche da diabetologa.
Ci siamo resi conto mai come in questo campo che la variabilità glicemica è certamente rilevante, al pari della glicata.
Ad una emoglobina glicata ottimale andrebbero affiancati profili glicemici molto stabili o ‘il meno variabili’ possibili così da evitare che una ipo/iper condizioni la nostra prestazione.
Io sono convinta che il CHO counting e le sue formule, sempre da personalizzare e modificare nelle singole situazioni, sebbene implichino tempo impegno e un minimo di abilità di

Credo pertanto che la parte nutrizionale e terapeutica debbano essere ‘stressate’; la compilazione del diario pre-post attività debba essere maniacale, quasi ossessiva, almeno in queste occasioni di studio e ricerca in modo tale che, come ha già riferito Andrea, si possa standardizzare il più possibile il dato acquisito durante la prova atletica.
E’ importante inoltre sapere se vi siano complicanze correlate al diabete: è un dato che andrà registrato in futuro per permettere a latere anche un follow-up delle complicanze.
Fondamentale è conoscere il ‘motore’ dal punto di vista atletico e per primi voi atleti vi sieti resi conto di quanta stretta correlazione ci sia tra soglia/FC/glicemia.
Per quanto riguarda il monitoraggio glicemico, il sensore Freestyle Libre non è da demolire, ha solo confermato avere una variabilità interindividuale. In alcuni il dato capillare/interstiziale è stato pressochè sovrapponibile, in altri, sebbene avesse sovrastimato le glicemie, ha comuque permesso di seguire l’andamento e la tendenza glicemica in gara, in altri è stato alquanto impreciso ma dobbiamo ricordare che il FGM legge una glicemia interstiziale e non coglie le rapide oscillazioni glicemiche o meglio le coglie in ritardo.
Il controllo capillare è quindi imprescindibile.
Devo dire comunque che a breve si diffonderà sempre di più l’utilizzo di sistemi innovativi di controllo glicemico in continuo.
Quello che però mi preme sottolineare è che bisogna imparare ad utilizzare anche questi strumenti, a leggerne lo scarico dati, i grafici e non tenerlo semplicemente come un ‘registratore’ della glicemia.
Questi strumenti avranno successo se porteranno ad un atteggiamento attivo del paziente, ove nei punti di ombra interverrà il medico in aiuto, certo, ma sicuramente non avrà futuro se sarà lasciata al medico la libera interpretazione dei dati.
Nei prossimi camp sarà’ comunque indispensabile, a scopo di ricerca, disporre del profilo glicemico in continuo, possibile da ottenere anche con dispositivi più sofisticati (Holter glicemici) ad uso medico.
E’ possibile che adotteremo questo metodo per raggiungere un grado di precisione e accuratezza ancora più elevato.
Concludo dicendo che ciò che ci sta a cuore nel realizzare questi campi sperimentali è continuare a cercare, rimettersi continuamente in discussione e andare avanti con spirito critico in scienza e coscienza.
Non avendo ancora discusso con lo staff i dati acquisiti mi astengo da commenti tecnici che presto arriveranno corali.
Scherzando duranta la gara si diceva… ora per riporre gli strumenti nelle zone di transizione abbiamo una piccola cassettina di legno, magari un domani avremo un gazebo!
Poco ci interessa, il nostro bagaglio di resilienza si arricchirà.
E’ dalle piccole cose che nascono grandi capolavori e questa realtà indipendente lo è!
Con un pò di ritardo arrivano anche le mie “10 righe”.
Il presidentissimo si è raccomandato di non essere troppo zuccherosi, quindi comincio con il dire che l’ospitalità è stata pessima, il cibo infame e l’”issimo” più scocciante e dittatoriale che mai. Scherzo….(?).
In realtà sono stra-contento di come sono andate le cose. Per essere una associazione spontanea con spartanissimi mezzi (basta vedere alcune foto emblematiche) abbiamo fatto un lavorone che molte università ci invidierebbero. Onestamente prima dello “start” temevo che saremmo naufragati in un allegro casino vista la mole di lavoro da svolgere in tre giorni. Ma così non è stato, e devo ammettere che la dittatorialità/assertività di Cristian era più che giustificata.
Un inchino rispettoso agli atleti che hanno preso il tutto tremendamente sul serio pur con la dovuta “leggerezza”: la politica della “partecipazione su invito” è stata azzeccata, anche se ci sono state defaillances dell’ultimo momento (e a quelli che hanno rinunciato dico “non sapete cosa vi siete persi”).
Quale il bilancio provvisorio? Premetto che prepareremo un report scientifico dettagliato sul sito DNL ma intanto mi sento di dire alcune cose…
Sono d’accordo con l’esimio collega dott. Benso che dobbiamo essere cauti nell’estrapolare troppe conclusioni da un numero limitato di osservazioni, eppure dopo svariati camp di “raccolta dati” mi sento di riaffermare con forza quello che vado ripetendo da un pò: pur nel contesto dell’ovvia variabilità inter/intraindividuale vi sono trend di risposta che tendono a ripetersi anche in atleti e contesti differenti.
Se non ci credessi, tutto questo lavoro sarebbe del tutto inutile, e l’unica legge sarebbe quella del “prova e vedrai”.
Prendiamo il caso dello sforzo ripido/di elevata intensità: se è effettuato a digiuno in condizioni “basali” provoca immancabilmente un aumento della glicemia, sia che si tratti di test di soglia su bici stazionaria/tapis roulant o di una cronoscalata “real world” (ho sott’occhio i dati del camp di Pescara). Se è effettuato in “post prandiale” (cioé dopo un bolo di rapida), l’incremento è molto meno marcato, ma comunque percepibile, e quanto più ci allontana dalla dose di rapida quanto meno l’effetto di “frenata” dell’insulina si fa sentire. Ancora: si ribadisce la bestialità del luogo comune “alto prima dello sforzo è più bello e sicuro”.
Prendiamo il test di soglia di Stefano: è partito alto, molto alto. Ma questo anziché “proteggerlo” ha determinato una caduta a precipizio della glicemia nelle due ore successive al test.
Un comportamento IDENTICO era stato rilevato nel camp di Pescara: altro atleta, altra prova (cronoscalata), ma l’andamento della glicemia è stato del tutto sovrapponibile. Una iperglicemia pre-prova espone a peggiori ipo successive, altro che “sicurezza”.
Ancora: il fabbisogno di CHO nell’endurance si dimostra essere ben più basso di quanto raccomandato dalle “linee guida”: dai dati provvisori emerge che l’exploit di Cristian all’UTMB (0,6-0,5 g/Kg/h) non era né casuale né solitario. I nostri baldi giovani hanno mostrato fabbisogni ugualmente ridotti, malgrado il differente grado di preparazione. Un atleta anche solo discretamente allenato sa come “risparmiare” CHO da un punto di vista metabolico.
WARNING!!! Questo non significa che bisogna innescare una gara stile “più-sono-atleticamente-fico-meno-ho-bisogno-di-CHO”, sarebbe stupido e pericoloso. Il concetto importante è che i fabbisogni di un atleta sono ben differenti da quelli di un sedentario proprio per una migliore efficienza del sistema, e che la strategia migliore risulta quella di una doverosa e importante integrazione (che migliora la performance) associata a una saggia politica dei boli associati. Insomma l’idea che prima di una attività ci vogliono “tanti CHO e poca insulina” è una boiata. Ancora, come ha già annotato Cristian, la conoscenza delle proprie soglie di lavoro (ottenuta tramite gli appositi test) è fondamentale, perché permette di stabilire i ritmi ai quali attenersi per evitare eccessive oscllazioni della glicemia.
Non mi risulta che nessuno abbia mai provato a usare i test di soglia per individualizzare l’entità dello sforzo in un diabetico T1 in prove “sul campo” (è stato fatto un triathlon, cavolo! Altro che 60-70% della VO2 max su bici stazionaria, come proclamato su autorevoli riviste!). Vi sembra poco?
Concludo rimarcando che il DNL ha un potenziale glorioso futuro: è notizia di pochi giorni fa che due comunicazioni riguardanti dati DNL sono state accettate dal board scientifico di due importanti congressi scientifici nazionali (Mario avrà l’onere/onore delle presentazioni).
Pensate con quale povertà di mezzi e abbondanza di entusiasmo è stato raggiunto questo (v. foto relative al “laboratorio diffuso” DNL)
… A quando una statua equestre di Cristian Agnoli sul lungolago gardense?

Niente di più vero!!! Come qualche anno fa il diabete è entrato nella mia vita del tutto inaspettato, così qualche mese fa ho iniziato gli allenamenti per il triathlon quasi per caso e allo stesso modo, qualche giorno fa, sono arrivato al DMC Triathlon Camp per una serie impensabile di coincidenze, senza saper nulla né di DNL né delle sue attività.
Sono arrivato in punta di piedi, preoccupato per la scarsa condizione e lo scarso controllo delle mie glicemie degli ultimi mesi.
Potrei dirvi tutto delle prove fatte, delle cose che ho imparato e di quelle che ho solo intuito, della cordialità, della disponibilità e della preparazione delle persone che ho incontrato, ma le cose più importanti forse sono due: l’impegno che tutti insieme abbiamo messo in tutte le attività previste (..compresi gli ottimi pasti ;-)) e soprattutto, come io ne sono uscito.
Sono tornato a casa rassicurato dal fatto che le alte (per la mia età) frequenze cardiache che vedevo durante le gare disputate quest’anno, in fondo per me non erano sbagliate e convinto che proprio lavorando in modo giusto con queste posso migliorare; avendo provato direttamente quanto può pagare un giusto utilizzo delle integrazioni sia durante la gara che nell’immediato post-gara ed avendo rafforzato la convinzione dell’importanza di una corretta alimentazione non solo nelle fasi di preparazione e recupero di una gara, ma anche nella vita di tutti i giorni.
In definitiva sono tornato a casa con un entusiasmo nuovo e la voglia di ricominciare ad allenarmi mettendo in pratica quanto visto, con la consapevolezza che, anche se non sarà facile (…ma che gusto ci sarebbe se non fosse così?), gli obiettivi che mi piacerebbe raggiungere possono essere alla mia portata, nello sport così come nella vita quotidiana.
Come mi hanno detto: “..in questi incontri si dà e si prende in pari quantità” ma, visto che come ultimo arrivato mi è concesso, non posso che ringraziare tutti per come mi hanno accolto e fatto sentire bene in quei giorni ed in particolar modo il dottor Vasta che mi ha fatto conoscere DNL e mi ha accompagnato con assoluta premura in tutte le attività dandomi preziosi consigli sia per lo sport (ndr. Devi allentare la tensione sulle spalle e sulle braccia, corri come Hulk!! ..verissimo ;-)) che nella gestione del diabete.

Anche se sono ormai stato insignito del titolo di “DNL-Doc”, non mi vergogno di dire che continuano a essere più le cose che imparo rispetto a quelle che vorrei poter “insegnare”… e allora, ancora una volta, grazie davvero a tutti!
Il team di atleti (5 con diabete tipo 1 e uno “sano”) è stato estremamente disponibile e complessivamente (abbastanza) diligente nel rispettare le consegne.
Il team dei Docs (anche se qualcuno potrebbe dire che sono di parte) era ben assortito e complementare nello svolgimento dei ruoli… vedremo cosa saremo poi in grado di tirar fuori in termini pratici!
Mi immagino, infatti, che chi partecipa e chi legge i report si aspetti da queste esperienze delle indicazioni chiare, certe e ripetibili da poter poi seguire nella propria pratica sportiva. Ebbene questo non è possibile! O meglio, non è possibile generalizzare in modo universalmente valido quello che si osserva, sotto il profilo atletico-metabolico, in un numero comunque esiguo di soggetti testati.
Non voglio scendere nell’accademico ma è importante puntualizzare che, da un punto di vista metodologico, mentre la ricerca “in laboratorio” (ad esempio test in palestra con prove di breve durata e di intensità costante e monitorata) è generalmente più ripetibile (grazie al fatto che le condizioni sperimentali sono uguali, o quasi, per tutti) ma poco utile nella vita reale (poiché quelle condizioni costanti poi non ci sono), la ricerca “sul campo” è la più difficile (proprio per la difficoltà di standardizzare le condizioni sperimentali) ma potenzialmente la più utile e, in ogni caso, più stimolante.
Diventa allora più che mai fondamentale, ai fini della buona riuscita di un laboratorio come quello appena concluso, che la raccolta dei dati (nel nostro caso specifico, relativi a glicemie, conta dei CHO, integrazioni, correzioni, etc) sia (quasi) maniacale (Presidentissimo docet). E questo vale sia per gli atleti sia per i Docs. Parimenti è importante che il grado di compenso metabolico con cui si arriva a un camp-laboratorio sia eccellente. Infatti, la risposta metabolica all’esercizio fisico può essere condizionata dal grado di compenso glicemico e dunque l’interpretazione dei risultati può diventare assai difficoltosa.
Se dunque, anche in ambito sportivo-diabetologico, non esistono Leggi Universali, esistono però delle “suggestioni” che possono tracciare la via da seguire.

Metabolicamente: la gestione metabolica da parte degli atleti è stata complessivamente buona nel corso delle prove atletiche. Migliorabile (forse) la gestione pre-, inter- e post-prova atletica. A fronte di valori di glicata discreti, i profili glicemici, al di fuori delle sessioni di allenamento, erano tutt’altro che impeccabili nella maggior parte dei soggetti. Non me ne si voglia, ma l’obiettivo deve rimanere quello di avere delle buone glicemie “anche” e non “solo” quando si fa attività fisica.
Poi è chiaro che intervengono tante variabili (molte delle quali difficili da controllare) ma penso sia fondamentale non dimenticare che “il valore di glicemia” è la risultante, anche e soprattutto, di fattori alimentari, metabolici e atletici. Proprio per questo diventa molto importante essere attenti laddove si può intervenire; ad esempio sulla conta dei CHO (Doc Miccio grande maestra). Forse è banale ripeterlo ma bisogna imparare a conoscersi e personalizzare la gestione metabolica, anche, ma non solo, in relazione alla prova atletica.
In specifico riferimento alla gestione metabolica nel corso della prova di endurance, ci tengo a sottolineare come sia emersa l’importanza (analogamente a quanto avevo già avuto modo di osservare in occasione del mio commento al “Cristian@BVGTrail” del 9 aprile 2016) che l’integrazione energetica sia programmata ed effettuata sulla base delle esigenze atletiche e la dose di insulina sia decisa di conseguenza… non il contrario!
Da meglio comprendere poi, in un contesto di endurance, pregi e difetti dell’utilizzo del Sensore Freestyle Libre. Se infatti, da una parte, sono inbubbi la comodità e la facilità di utilizzo, dall’altra l’accuratezza della rilevazione potrebbe essere assai discutibile. Abbiamo infatti osservato una marcata discrepanza fra i valori glicemici rilevati dal Sensore Freestyle Libre (sovrastimati) rispetto al controllo capillare. Questo si è verificato in particolare per valori di glicemia elevati al sensore, a suggerire dunque che potrebbe essere utilizzabile con tranquillità soltanto in un range ristretto di glicemie prossime alla normalità. E in caso di ipo? Se il Sensore Freestyle Libre dovesse sovrastimare anche in questo caso, si rischierebbe di effettuare l’eventuale integrazione in ritardo. Se invece sottostimasse, si effettuerebbe un’integrazione inopportuna con conseguente rialzo glicemico indesiderato. Questo punto è sicuramente meritevole di un approfondimento. Da non escludere in ogni caso l’eventuale utilizzo combinato di Sensore Freestyle Libre + glicemia capillare.
Atleticamente: non è mio compito dare pareri al riguardo (peraltro non ne ho la competenza) ma i partecipanti si sono tutti dimostrati di alto livello. Prova ne è anche il fatto che ognuno di loro ha brillantemente concluso la prova di endurance. E questo ha rappresentato per il camp un valore aggiunto dal punto di vista della ricerca, ma non solo! Infatti, chi segue il “DNL pensiero” tende ormai a darlo per scontato, ma il fatto che ogni atleta, in sostanziale autosufficienza, abbia completato la prova di endurance in ottime condizioni (la mattina successiva tutti hanno preso parte a una sessione di allenamento a digiuno), è l’ulteriore testimonianza che atleti con diabete tipo 1 possono praticare attività di endurance di elevato livello atletico in sicurezza e con performance di livello.
PS. Marelli, la prossima volta prometto di essere più loquace!

Ritorno da questo nuovo Camp assolutamente soddisfatto per il lavoro svolto.
Ho imparato diverse cose importanti riguardo alimentazione, valori della glicemia dati dal sensore, gestione della frequenza cardiaca nelle gare di endurance e tanto altro.
I complimenti allo staff capitanati dal nostro Cristian sono obbligatori perchè tanta professionalità al nostro servizio, è veramente un privilegio poterne usufruire.
Ciò che mi rimane da questa esperienza è di aver imparato come gestire le mie frequenze cardiache nelle lunghe gare di triathlon: nonostante siano già diversi anni che faccio gare sono sempre state gestite un po’ così a spanne.
Alcune volte facevo meglio, altre peggio, senza peró avere la risposta scientifica. L’allenamento combinato di sabato mi ha insegnato a gestire meglio lo sforzo nella frazione bici dove mi sono sempre scatenato a discapito della successiva corsa. Lavorando sulla frequenza cardiaca, e non solo sulla frequenza di pedalate al minuto, infatti ho capito di perdere poco in termini di tempo ma di guadagnarne tanto nella corsa finale.
Inoltre aver stabilito il mio bisogno di carboidrati ogni ora di sforzo mi da più sicurezza nel decidere le strategie alimentari da utilizzare in gare su qualsiasi distanza ed a prescindere dalle presunte necessità o non voglia del loro utilizzo.
È stata secondo me un ottima scelta decidere di far partecipare pochi atleti. In questo modo è riuscito tutto alla perfezione.
Che dire in più ? Non vedo l’ora di partecipare al prossimo DMC e lancio una proposta per il 2017:
Triathlon medio di Lovere ad aprile (1.9 nuoto-90 bici -21 corsa) con tutto il team triathlon DNL !!!
Complimenti alle ragazze che hanno affrontato questo test su una distanza mai provata con un buon risultato. Ciao a tutti!
10 righe da … Francesca Zini, ditipo 1, Vicenza, 26 anni

Ho imparato che ‘alto non è sempre sicuro ‘e che le integrazioni vanno fatte a prescindere dalla necessità avvertita ma per necessità reale. Mai più un allenamento o una gara senza una minima strategia alimentare che consideri le specifiche necessità per ogni fase della performance.
10 righe da … Francesca Zenti, ditipo 1, Bergamo, 24 anni

Dopo aver letto le 10 righe scritte dalla Franci, credo che ci sia poco da aggiungere.
Appoggio tutto ciò che ha scritto, questo camp è stato il migliore.
Sono riuscita a lavorare al meglio ed a scoprire il meglio di me.
Ho imparato che essere ansiosi e agitati prima di una prestazione non serve a niente, non c’è niente che non si può risolvere e gestire.
Ho imparato che l’integrazione è fondamentale ed ho capito che conoscere e lavorare sulle frequenze è fondamentale per non andare mai oltre quella soglia che ci porta a crollare. (per lo meno è quello che sicuramente nelle prossime gare proverò a metterò in atto).
Devo ammettere che è la prima volta che “affrontavo” una tale distanza, e grazie a tutti questi preziosi consigli mi sono stupita di me stessa: sono riuscita ad arrivare in fondo avendo ancora il sorriso e la voglia di ripartire.
Un grazie particolare lo devo proprio alla mia compagna di “gara”, il suo supporto è stato fondamentale.
Dovrò lavorare di più sulla mia TESTA per affrontare una gara DA SOLA 😉
Ovviamente non considererò più il SENSORE freestyle libre, decisamente pessimo e destabilizzante!
Dovrò affidarmi al glucometro tradizionale, ma prima ancora ascoltare il mio corpo.
Un grazie forse non basta, ma Cristian, Monica, lo staff medico e tutti i partecipanti sono stati degli ottimi “compagni questo viaggio” !
Spero di vedervi presto e poter gareggiare… al vostro fianco !!!

Come “promotore” dell’iniziativa sono ovviamente di parte e come “non triathleta” non ho preso parte alla prova atletica.
Ciò detto elenco le cose che mi sono piaciute di più e quelle che mi sono piaciute meno, il tutto seguito da due mini “pistolotti-appelli” ai presenti e ai “leggenti” ..
+ L’impegno atletico e le motivazioni dei triathleti presenti
+ La capacità di eseguire i compiti assegnati e di portare a termine una prova impegnativa.
+ La voglia di capire di più
+ I nostri docs siano essi parlanti, silenti, operosi e meditativi
+ Gli aiutanti sul campo di allenamento
+ Le foto di Nicola De Vecchi e Valeria Nicolis
+ Lo spirito DNL
+ La location del lago di Garda
+ Il Bikapì 🙂
+ La qualità del cibo servita al ristorante per 15 euro a pasto
– L’applicazione pratica del carbocounting
– L’applicazione dei principi base dell’educazione nutrizionale
– La tenuta del diario giornaliero a parte Stefano, ultimo arrivato ma perfetto annotatore
– Il buon compenso e le curve della glicemia “acca24” dei partecipanti (al netto degli errori del sensore!)
– I sensori che fanno le bizze (e noi che gli diamo una mano in tal senso)
– Il traffico del sabato pomeriggio a metà ottobre
– Quelli che fanno triathlon ma non sanno usare il garmin
– Il presidentissimo che perde colpi e anche la pazienza ogni tanto (scusatemi .…)
– Siamo solo noi a provarci … purtroppo!
– Gli atleti “diabbetici”, quelli che c’hanno la fissa della glicemia, senza approfondire le regole della fisiopatologia e senza provare ad essere, ogni tanto, semplicemente atleti.
Pistolotto#1> “Il buon compenso preesiste, attinge e sopravvive alla pratica sportiva … la nostra gestione deve funzionare sempre, non solo solo quando c’è lo sport di mezzo”.
Pistolotto#2> “Siate in prima persona, nel quotidiano, sperimentatori di voi stessi e divulgatori dell’approccio DNL senza aspettare il prossimo camp, laboratorio, clinic, summit … se, come e quando ci sarà”.
